Regia: David Soren
Anno: 2013
La folle corsa di una lumaca da corsa, dal giardino di casa alla 500 Miglia di Indianapolis, inseguendo ad ogni costo il sogno di diventare un pilota.
David Soren, canadese e veterano DreamWorks, ha ricoperto i ruoli di regista, sceneggiatore, doppiatore e storyboard artist, e preso parte ai maggiori successi della casa statunitense tra cui Galline in fuga (2000), Shrek (2001), Shark Tale (2004), Madagascar 2 (2008). È tra gli ideatori dello speciale per la TV Merry Madagascar (2009).
Theo è una piccola lumaca, piuttosto svitata, che lavora in una singolare cooperativa per la raccolta dei pomodori, ma sogna di fare il pilota di corse automobilistiche, guardando in tv il suo mito Guy Gagne, da qui l’aka Turbo.
L’emancipazione di Turbo (Ryan Reynolds) da lumaca operaia della alienante e sinistroide piantagione, a lumaca da corsa, è favorita dal fratello Chet (Paul Giamatti), che lo sprona ad abbandonare le suoi sogni e le sue ambizioni, per dedicarsi unicamente al lavoro come tutte le altre lumache.
Ma siccome “il lavoro è il rifugio di coloro che non hanno di meglio da fare” (cit. Oscar Wilde), Turbo scappa dal giardino, e dopo essere caduto in una trafficatissima highway, si ritrova nel celebre canale in cemento del Los Angeles River, già set di celebri pellicole sulle corse Grease (Randal Kleiser, 1978), Point Break (Kathryn Bigelow, 1991), The Italian Job (Felix Gary Gray, 2003), Drive (Nicolas Winding Refn, 2011). Viene così inghiottito (e miracolosamente sopravvissuto) nel motore di un’automobile in stile Fast and Furious (saga che viene un po’ presa in giro dal film), e dopo un bagno nella miscela di protossido di azoto e benzina, acquisisce il potere della super-velocità.
I compagni di viaggio, una combriccola multietnica di umani disadattati e lumache truccate come auto da corsa, accompagneranno Turbo fino alla Indy Car, dove avrà l’opportunità, si scoprirà se anche il piacere, di correre con il suo eroe Guy Gagne.
Il tutto è molto veloce (per fortuna rispettati i 90 minuti), forse un po’ confusionario, con vuoti narrativi qua e là e dialoghi un po’ deboli, ma finalmente è stato ritrovato il coraggio di proporre al pubblico una sceneggiatura originale e non l’ennesimo sequel. Così il film d’animazione, ritrova il suo fattore primigenio: la –Fantasia-, da qui tutto cominciò qualche decennio fa (Walt Disney, 1940), concedendoci ultimamente “solo” Palloncini che portano fino in Amazzonia o Panda campioni di arti marziali (in realtà entro breve la Dreamworks farà uscire Dragon Trainer 2, Madagascar 4, Kung Fu Panda 3).
Il film mantiene quella matrice creativa che esula da storie realistiche o sceneggiature piatte, dalla computer grafica e il rendering, la quale sarebbe facilmente realizzabile anche a matita e acquerelli come una volta. Turbo fa sognare i più piccoli e li aiuta credere anche nell’impossibile, inseguire la passione oltre ogni ostacolo, anche se la realtà fisica sembra non permetterlo.
La sceneggiatura è appena sufficiente, così come la descrizione dei personaggi. Non vuole essere una versione DreamWorks di Cars (Pixar,2006), ma l’aria che si respira è un po’ quella (è praticamente quella).
La parte tecnica è eccellente, con un 3d che fotografa bene i vari piani, paragonabile solo a Ralph Spaccatutto (Pixar, 2012), ma non ai livelli dell’irraggiungibile Monster University (Pixar, 2013), principale competitor dell’estate 2013, in cui la straordinaria regia, con una ottima cura profondità di campo e messa a fuoco, fa già sentire odore di Oscar, ed è per questo che Turbo parte è sicuramente svantaggiato in termini di potenziali statuette.
Nota di merito nella versione in lingua originale al doppiaggio di Frusta (Samuel L. Jackson) e Chet (Paul Giamatti).
Si vede volentieri. I bambini lo seguiranno con piacere e si appassioneranno all’avventura di Turbo. Concesso qualche sbadiglio ai più grandi.