Anno: 2014
Al TGLFF The Way He Looks di Daniel Ribeiro: commedia poetica sul primo amore e sulla diversità costruttiva
Torna sugli schermi più alternativi d’Italia questo giovane (classe 1982) veterano già premiato dal TGLFF nel 2008 e nel 2011, con una commedia sentimentale e lieve che parla della scoperta di sé e di un amore, il primo, il più indimenticabile di una vita, quello che la sconvolge e la cambierà per sempre.
Ma The Way He Looks è, prima di tutto, un film sulla diversità intesa come possibilità di scelta identitaria, come esercizio di libertà e di auto-determinazione , una diversità non separativa ed escludente, ma prolifica, vitalistica, libertaria.
Leo (Ghilherme Lobo), si sente soffocare dagli eccessi di iper-protettività della sua famiglia, che a causa delle sue difficoltà (è ipo vedente) lo tiene chiuso in una sorta di bolla fatta di premure e necessità di controllo, separandolo dal mondo dei normali, costringendolo a una vita che continuamente gli ribadisce la sua difformità.
Un controllo totale che, ovviamente non serve a far sentire protetto lui quanto a Placare i cannibali i (perché se li divorano, letteralmente) timori dei suoi genitori sempre preoccupatissimi per la sua incolumità.
Leo non può uscire e tornare liberamente, deve comunicare ogni suo spostamento ed essere sempre reperibile, non può partecipare a gite e feste che gli permetterebbero di socializzare, Leo non ha una vita privata o spazi autonomi di realizzazione.
Ma soprattutto, come dichiara in apertura di film, Leo non ha ancora dato il primo bacio, un bacio-tesoro che intende preservare per quella che dovrà essere la persona più speciale della sua vita. Attende un amore che carica di mille aspettative, anche per via di quella sua condizione speciale, un amore che curi la sua solitudine, il suo sentirsi diseguale.
L’idealismo incantato e la propensione adolescenzialistica al sogno di questo bel personaggio sono già tutte qua, in questo dialoghetto sui baci che intrattiene in apertura film con Giovana (Tess Amorim), l’eterna migliore amica-confidente, segretamente innamorata di lui che lo protegge e lo consola, gli presta gli occhi, lo guida e raccoglie le sue confidenze, insomma, gli permettere di reggere entro gli schemi asfittici che ingabbiano la sua giovane quasi-vita.
A sconvolgere questo equilibrio precario, in una mattina di scuola, arriva Gabriel (Fabio Audi), bello, moro e col sorriso scanzonato, che poco alla volta, attraverso un percorso di piccole complicità che rendono speciali i giorni, saprà insegnare a Leo come trovare e sopratutto come difendere la propria libertà personale, a disobbedire, quando farlo diventa questione di sopravvivenza.
Con il tempo i due sperimentano una vicinanza crescente e nuova, una complicità, questa del simile col simile, che si rivela più forte anche del legame con Giovana che poco alla volta si vede soppiantata in tutte le sue funzioni di guida, di confidente, di famiglia.
La liberazione di Leo arriva a passo di danza, quando il suo nuovo amico, sulla base ritmata di una musica pop così lontana dalla musica classica cui Leo era abituato, lo spinge a lasciarsi andare per la prima volta in vita sua, e a ballare.
Da questo momento inizia per lui un crescendo di scoperte su sé stesso, su chi veramente sia, un camminare per passi piccoli ed emozionati verso la scoperta del proprio io, che trova la sua prima epifania fisica in una felpa, quella di Gabriel dimenticata a casa dell’amico, che Leo improvvisamente sente il bisogno di respirare come una pelle profumata d’amante, di annusare come aria nuova, di stringerselo addosso come un abbraccio, mentre un calore inedito gli avvampa il corpo.
Ribeiro segue l’andirivieni di questa bella e pulita passione con occhio partecipe e sentimentale, il primo bacio, quasi rubato, dopo una festa e le ritrosie di Ricardo, le paure e la meraviglia di Leo, le difficoltà del ruolo di Giovana e tutto ci viene narrato con piglio leggero, scevro da complicazioni di ordine formale. Il montaggio è lineare e disteso, non cerca la ritmicità ed evita gli psicologismi di sorta, tende a una comprensibilità ordinata dell’evoluzione interiore dei personaggi in relazione allo svilupparsi delle vicende sentimentali che li coinvolgono.
Dalla diversità passiva, imposta, separativa e ghettizzante della sua menomazione Leo naviga verso una diversità attiva, voluta e cercata come realizzazione della persona completa che prima gli si vietava di essere, e noi con lui ci innamoriamo di quella libertà, attraverso i suoi begli occhi scuri e il suo viso pensoso e dolce quando sorride.
Il piano del visivo riproduce la realtà in maniera fotografica e non mostra manipolazioni evidenti, tranne che per la breve parentesi del sogno di Leo, che vediamo in una sua soggettiva afflitta da quelle distorsioni e quei disturbi che normalmente ne caratterizzano la visione.
Una poetica semplice, che forse, se avesse espresso qualche ambizione autoriale in più, ci avrebbe guadagnato anche in termini di profondità introspettiva, che qui, senza nulla voler rimproverare a Ribeiro, in certa misura sembra un po’ troppo stemperata, risolta con eccessiva facilità, o quanto meno non ancorata al piano stilistico-formale dell’opera. Sembra quasi che si sia volontariamente trattenuto dall’approfondire tutte le possibilità emozionali che la materia in sè e le sensibilità attoriche in campo avrebbero consentito, qualche brivido in più, qualche passione più forte.
Le cose migliori sono da cercarsi sicuramente nella prestazione di Lobo, Audi e della Amorim, che più che cercare il picco di bravura solistica, l’eccesso teatrale, mirano tutte a ottenere un elevato gradiente medio di partecipatività emozionale dello spettatore di credibilità e naturalezza. Perfetta la direzione di Riberio da questo punto di vista, e ottime le qualità individuali dei tre giovani, veramente intensi.
La cosa migliore sul piano della visività sono, almeno per chi scrive, certi primi piani di Leo e Gabriel, densi per qualità espressiva dei visi e carichi di una giovanissima bellezza su cui si indugia volentieri, con un senso estetico che definirei goloso.
Insomma, un film maturo e godibile, che forse avrebbe potuto esprimersi in maniera più significativa sotto il profilo stilistico e giovarsi di una caratura emozionale più intensa, ma che ha certamente il grande pregio di trattare un tema decisamente scomodo per molti, come quello della non scontatezza delle identità sessuali istituzionalmente definite, con un registro com-mosso e non banale che potrebbe favorire un avvicinamento di un pubblico più vasto e generalista alla percezione della grande normalità, della non extra-ordinarietà di questo tipo di storie.