In The Walking Dead al sonoro (musica, rumori e voci) sono spesso affidate funzioni informative di livello primario: identificazione di luoghi e situazioni, segnalazione di eventi rilevanti e pericoli incombenti, produzione di effetti di senso, ecc.
Autore della title track, che funge da sigla iniziale, e di tutte le musiche-extra diegetiche è il compositore Bear McCreary, già noto per aver curato le soundtracks di serie tv come Battlestar Galactica (la serie ideata da David Eick e Ronald D. Moore e trasmessa in Italia tra il 2009 e il 2010) e il suo spin-off Caprica (ideato anch’esso dalla coppia Eick-Moore in collaborazione con Remi Aubuchon e trasmesso nel 2010), Terminator: The Sarah Connor Chronicles (ideata da Josh Friedman, coprodotta da Fox e Warner Bros, trasmessa nel 2008) e Human Target (ideata da Len Wein e trasmessa tra il 2010 e il 2011) per la cui main-track ha ricevuto una nomination Emmy.
Le sigle, si sà, svolgono una funzione di tipo mnemonico-identificativo: è infatti sufficiente sentire la riconoscibilissima modulazione arpeggiata di archi che apre il tema di McCreary per identificare la serie e operare un rapido rimando mentale al macabro immaginario che la qualifica.
Le combinazioni audio-visuali che si susseguono in questa sigla riescono a orientare l’interpretazione preventiva dello spettatore (quella che facciamo, cioè, prima ancora di aver visto un film, basandoci su elementi extra e pre-filmici, come il titolo, il regista, le recensioni ecc.) verso le regioni dell’orrorifico, del tetro senza speranza.
I violini arpeggiati sugli acuti modulano nervosamente facendo montare la tensione, mentre sui bassi gli staccati d’archi, prima, e un robusto suono di basso sintetico, poi, rendono scuri gli accordi, sui quali gettano come un presagio nero. Pesanti suoni percussivi e riverberati segnano minacciosamente il tempo mentre un glissato di acuti sintetici dal moto discendente scioglie definitivamente le speranze di consolatorietà melodica.
Contestualmente il rapido montato delle immagini sincronizza i propri stacchi alle ripartizioni ritmiche del brano e si allinea per nuance emozionale alla musica. Scorrono sullo schermo le immagini di corvi che beccano carogne, strade in rovina e interni deserti e cadenti, le foto di alcuni dei protagonisti invecchiate e con il vetro protettivo in frantumi, auto abbandonate, un orsetto di peluche lacero e mutilato.
In poco meno di quaranta secondi (tanto dura la sigla) l’immaginario di The Walking Dead appare definito per via sintetica e sinestetica pur senza alcun diretto rinvio iconico ai morti viventi.
Tratto generale della narrazione è la preminenza dei suoni diegetici (rumori prodotti da corpi e oggetti appartenenti al mondo messo in scena) sugli elementi di tipo musicale, che intervengono più sporadicamente ad esprimere valenze emotive e psicologiche, sempre mantenendo un rapporto di corrispondenza diretta con il tenore emozionale della scena (relazione empatica).
Si tratta per lo più di temi di sintetizzatore e tappeti d’archi o di brani post-rock dalle aperture chitarristiche ariose e soniche.
In molti casi queste musiche sono utilizzate per suturare il passaggio da una sequenza a quella successiva, o tra un blocco narrativo e un’altro.
Di grande interesse le numerose funzioni comunicazionali esercitate dai rumori.
Gli ambienti sonori, per esempio, permettono allo spettatore una prima e provvisoria collocazione delle locations e dei personaggi che appaiono sullo schermo.
I diversi luoghi rilevanti per lo sviluppo della narrazione, infatti, come la fattoria di Hershell, o la prigione, che ospita i nostri sopravvissuti durante la terza stagione, si caratterizzano per vere e proprie identità sonore (suoni-territorio), ben definite e di facile individuazione per il pubblico (per es: il frinire di grilli e cicale caratterizza la fattoria e i suoi dintorni in tutta la seconda stagione, se però a questo sfondo si sovrappongono sporadici grugniti di zombie riconosciamo subito il giardino antistante la prigione della terza serie).
I simboli sonori della prigione teatro degli episodi della terza stagione, tanto per riportare un esempio, sono il rumore cupo e metallico delle porte a sbarre che si devono aprire e chiudere ogni qualvolta ci si sposti al suo interno e il particolare tipo di riverbero che avvolge tutti i suoni, rendendoli spettrali e riconoscibili in quanto a collocazione. Il suo utilizzo sembra trascendere il compito della mera resa realistica dell’ambiente e tende ad assumere in molte circostanze una funzione di coloritura drammatica di eventi e azioni.
Come già avveniva in Un Condannato a morte è fuggito (regia di Robert Bresson, 1956) l’estensione del penitenziario non ci viene restituita dalle immagini, che per lo più adottano campi medi o ravvicinati, ma viene audiovista dallo spettatore, cioè immaginata visivamente a partire dal dato uditivo (effetto di estensione del campo).
In particolare sarà una riverberazione fortemente spazializzata e dotata di unlunghissimo tempo di decadimento a fornirci informazioni di tipo spaziale, poiché per la nostra esperienza del reale la riconosciamo come caratteristica dei luoghi vasti e vuoti, nei quali il suono rimbalza su mille superfici prima di giungere al nostro orecchio.
Un caso particolare di pronunciata identificazione sonora del contesto è rappresentato dalla città. Lo spaventoso silenzio che contraddistingue l’environment metropolitano in questa serie turba le nostre abitudini uditive di spettatori.
Una consolidata retorica del suono cinematografico, infatti, ci ha abituati a riconoscere le città rappresentate nei film dalla presenza dei rumori del traffico e, soprattutto, dal suono dei cosiddetti avvisatori acustici, clacson, sirene d’ambulanza o della polizia ecc., che ricorrono immancabilmente in ogni rappresentazione filmica dell’ambiente metropolitano.
In questa anomalia acustica lo spettatore rinviene una sorta di metafora uditiva dello stato di derelizione in cui versano le città e, per estensione, il mondo intero.
Sapendo inoltre che i centri urbani sono solitamente infestati di biters (termine moderno che sta ad indicare coloro che mordono) pronti ad accorrere da ogni dove al minimo rumore di provenienza umana, le scene caratterizzate da questo tipo di silenzio produrranno nello spettatore una più spiccata tensione emozionale, un continuo paventare e desiderare al tempo stesso il momento in cui in quel silenzio tombale (è il caso di dirlo) faranno irruzione i disgustosi grugniti dei non morti.
A darci conferma di questa strategia della tensione silenziosa è anche il suono-territorio che identifica Woodbury, la città retta dal Governatore, nella quale si tenta di ripristinare lo stesso stato esistenziale del pre-catastrofe
Sono essenzialmente voci umane, quelle che popolano lo spazio dell’ascolto in questo luogo, voci che significano prosecuzione della specie (in diverse occasioni si sono sentite risa di bambini), voci-presenza che contraddicono la spaventosa assenza di suoni (e di vita) delle altre città.
Sono invece affidate alla scabra emotività del suono diegetico, e volutamente deprivate di accompagnamento musicale, le scene dalla carica emozionale più forte, quelle in cui i personaggi sono aggrediti dai biters, e simili, per intenderci. La scelta, in controtendenza rispetto ai dettami del cinema di taglio più classico, appare azzeccata e conferisce a questi momenti salienti una drammaticità asciutta, che non risente di certi deteriori atteggiamenti da telefilm cari alla retorica di genere.
La pista audio di The Walking Dead, infine, è indissolubilmente legata al tema della minaccia che segna questa narrazione. Un groviglio di suoni gutturali e sospirosi rantoli identifica la massa degli zombies per via acustica e permane come sottofondo quasi costante della serie, continuamente rammentandoci l’agghiacciante presenza (funzione indexicale).
Questa strategia manifesta i suoi effetti soprattutto nelle scene in cui il gruppo si trova in luoghi protetti, per esempio nelle scene di interni, e in tutti quei frangenti nei quali la tensione emotiva dei protagonisti e del pubblico potrebbe legittimamente abbassarsi, in mancanza di un imminente pericolo. La continua presentificazione dei biters attraverso i suoni che emettono serve a minare la sicurezza di qualsiasi spazio liberato, di qualsiasi rifugio e a non consentire allo spettatore alcuna forma di rilassamento emozionale.
Spesso suoni dalla sinistra identità, tonfi improvvisi, stridori e misteriosi fruscii che non trovano una giustificazione dal punto di vista diegetico, intervengono con la sola funzione di accentuare la carica ansiogena delle scene, segnalano un pericolo non visibile ma presente, concreto.
Tirando le somme diremo che in The Walking Dead una colonna del sonoro interessante sotto il profilo tecnico viene sottoposta a una serie di pratiche strategiche che riescono ad arricchire il testo di un surplus di valori di tipo espressivo, drammaturgico e di senso che migliorano considerevolmente l’esperienza di fruizione dello spettatore rendendola più coinvolgente sia sotto il profilo dell’esperienza sensoriale che su quello dei meccanismi psicologici e d’interesse.
Da vedere e ascoltare con attenzione.