Regia: Juan Antonio Bayona
Anno: 2013
Una famiglia americana come tante è in viaggio per la Thailandia. Una bellissima moglie Maria (Naomi Watts) un marito (Evan Mc Gregor) e tre figli. Ad attenderli c’è un resort mozzafiato, all-inclusive, nuovissimo e dotato di tutti i confort. È Natale, ed è il 2004, l’anno dello tsunami.
Tutto si svolge come da menù: c’è lo scambio dei regali natalizi, la tranquilla vita di villaggio, i pesci dai mille colori, la festicciola notturna. La mattina seguente tutta la famiglia è nelle piscine vista spiaggia. Tuffetto, lettura sul lettino, giochetti con la palla. Ma all’improvviso arriva l’onda. Incessante e invincibile. Tutto è travolto dalla violenza titanica e distruttiva dell’acqua.
È il terribile tsunami che ha colpito l’Oceano Indiano il 26 dicembre 2004, causando oltre 220mila vittime.
Il film racconta la storia (vera) di questa famiglia sopravvissuta alla tragedia.
L’onda improvvisa separa il nucleo: da una parte Maria con il figlio maggiore Lucas (Tom Holland) scaraventati chissà dove, faticosamente riescono a rimanere uniti aggrappandosi l’uno all’altro; dall’altra, il papà che riesce a prendere in braccio i due figli più piccoli Thomas (Samuel Joslin) e Simon (ThomasOaklee Pendergast) prima che l’onda mangi la terraferma. Nessuno dei due sa che fine abbia fatto l’altro.
A questo punto la trama si snoda su due temi paralleli: la sopravvivenza – le ferite gravissime causate dall’impatto paventano un rischio cancrena alla gamba – (nel caso della madre); la ricerca dell’altro, del disperso, l’insopprimibile volontà di andare in cerca del resto della famiglia (nel caso del padre). L’epilogo è ovvio.
Tecnicamente a metà strada fra il disaster-movie e il reportage, questo film è bello i primi venti minuti. Le scene dello tsunami atterriscono davvero – grazie anche agli effetti speciali e al montaggio (Fassman VFX , Elena Ruiz, Bernat Vilaplana) – riportando la memoria d’un fiato a quel dannato 26 dicembre. Ha un certo valore cinematografico anche l’atmosfera di attesa dell’onda, ben disegnata dal regista e che genera un senso di inquietudine affiorante, che come un’ombra avvolge la tranquillità del villaggio, presaga dell’orrore.
Quello che viene dopo, cioè la storia della famiglia che sopravvive e si riunisce, procede incoerente fra la rappresentazione cruda e realistica della tragedia collettiva (che fa effetto reportage) e la dimensione intima dei protagonisti, purtroppo spappolata nella retorica di dialoghi sdolcinati (a volte quasi imbarazzanti), pure enfatizzati da una commento musicale davvero brutto.
Il giovane regista catalano, Juan Antonio Bayona, con esperienza soprattutto in videoclip e pubblicità, non riesce a dominare un prodotto che promette bene in apertura, ma che si perde in fieri.
È brava la Watts, attrice particolarmente feconda negli ultimi anni (Fair Game, di Doug Liman 2010; Incontrerai l’uomo dei tuoi sogni, di Woody Allen 2010; J. Edgar, di Clint Eastwood 2011). In questo film riesce – oltre che a rimanere bella, benché trasfigurata da una maschera di sangue – ad attenuare il portato retorico del suo personaggio con una recitazione misurata ma intensa.
Operazione che non riesce invece a Ewan McGregor, attore che ha dato prove di ben altra incisività, come nel recente The Ghost Writer (Roman Polański, 2010); o in Trainspotting (Danny Boyle, 1996), qui appare un po’ ingessato, quasi giuggiolone, nel ruolo di padre e marito disperato.