A soli dieci anni dalla sua prima incarnazione cinematografica ed a cinque dal terzo capitolo della trilogia di Sam Raimi, Spider-Man torna alle origini, con Marc Webb (500 giorni insieme, 2009) alla regia, Andrew Garfield nei panni di Peter Parker ed il 3D come plus tecnologico, che in effetti si addice molto ai volteggi di Spider-Man fra i grattacieli di Manhattan.
The Amazing Spider-Man può essere analizzato da diversi punti di vista, ma iniziare dai paragoni, per quanto facile, sarebbe sbagliato. La prima analisi deve riguardare il valore del film in sé e, nel complesso, grazie soprattutto ad un cast (ed un casting) straordinario, il risultato è nelle aspettative: un film gradevole, divertente, a tratti sorprendentemente cupo e in grado di alternare sapientemente scene d’azione a credibili intermezzi in cui è evidente l’abilità di Webb nel dare profondità alla trama, quando la stereoscopia non lo assiste, e generare un coinvolgimento emotivo genuino, che ricorda a tratti 500 giorni insieme (2009) per la freschezza dei dialoghi e l’ironia – ad esempio nella scena in cui si vede per la prima volta il costume definitivo: il modo in cui viene demolita l’epica della sequenza è un tocco di classe, e racchiude in pochi istanti la dicotomia dell’eroe adolescente.
Andrew Garfield ed Emma Stone (che finalmente rende dignità al personaggio di Gwen Stacy dopo la pessima trovata di Spider-Man 3, del 2007, di Sam Raimi) sono affiatati e credibili, e fanno ben sperare per i sequel. Rhys Ifans funziona solo a tratti nel ruolo di Curt Connors, soprattutto per problemi di scrittura che rendono confuso e contraddittorio il personaggio. Sally Field è una zia May finalmente non canuta e petulante, ma forte e dignitosa nel dolore.
Il grande punto debole del film è invece la trama. Basta guardare i trailer per sospettare un poderoso – non riuscito – intervento dell’ultimo minuto al montaggio, che potrebbe aver stravolto i pesi specifici dei vari elementi della storia (per esempio, dove sono finite le sequenze in soggettiva del trailer?). Sin dalla prima scena, infatti, si sviluppa una vicenda di complotti e misteri che viene lasciata in sospeso e di cui, dopo due ore abbondanti di film, non sappiamo praticamente nulla che non sia chiaro già dopo cinque minuti. E’ evidente che il progetto è quello di sviluppare tale trama in una trilogia (almeno), ma ciò non può andare a scapito della autoconsistenza di ciascun capitolo.
Alcuni passaggi sono fin troppo superficiali e forzati, utili solo allo scopo di posizionare i personaggi nelle successive scene cardine: quale ragazza oggi penserebbe ad una cena in famiglia come primo appuntamento? Perchè i poliziotti si concentrano sulla cattura di Spider-Man invece di dare la caccia a Lizard? Perchè Connors, una volta mutato, trasferisce il suo laboratorio nelle fogne? O meglio, perchè chiunque dovrebbe trasferire un laboratorio nelle fogne (e come alimenta tutti i macchinari?) ?
Che fine fa il capo di Connors, dopo l’attacco sul ponte? La vicenda della cattura del ladro che uccide zio Ben (un ottimo Martin Sheen) viene lasciata poi bruscamente in sospeso: potrebbe essere ripresa in futuro, ma questo non giova al film, così come la presenza di Norman Osborn, che aleggia sulla storia senza mai palesarsi. Chiunque non conosca l’universo di Spider-Man potrebbe trovare fastidioso che un personaggio tanto importante non si veda nemmeno per un secondo e venga di fatto dato per scontato. Montaggio scellerato o scrittura superficiale, il risultato è insoddisfacente.
Anche le motivazioni dei personaggi, a partire dallo stesso Peter, sono poco convincenti e sembrano procedere per concatenazioni logiche non sempre chiare. Tutto il discorso su potere e responsabilità viene diluito in una serie di eventi in cui Peter è più trascinato che motivato, e nel finale infatti non sembra aver afferrato del tutto la lezione.
Si giunge ai titoli di coda e si ha l’impressione di aver visto solo il primo tempo, tante e tali sono le cose lasciate in sospeso. E’ evidente che The Amazing Spider-Man sconti il successo della strategia che la Marvel ha adottato con i film sui personaggi degli Avengers: invece di dare ai fumetti una dimensione cinematografica, sta trasformando il cinema in un fumetto estremamente costoso, la cui principale caratteristica è chiaramente la serialità. Il cinema però funziona in modo diverso e, soprattutto, c’è meno margine per correggere gli errori di sceneggiatura.
In definitiva, il film funziona alla grande se preso scena per scena, soprattutto nelle scene non d’azione, oppure se visto come un primo atto. Se giudicato come opera a sé stante, ammesso che sia lecito, risulta confuso ed irrisolto, lasciando fin troppo a desiderare. The Untold Story, recitava la campagna pubblicitaria. Infatti, non ce l’hanno proprio raccontata.
Per completare l’analisi, ci sono due confronti ai quali The Amazing Spider-Man non può sottrarsi: il primo, quello con i fumetti a cui si ispira, per una consuetudine forse non del tutto giusta (soprattutto se si cambia media) nel paragonare il materiale originale a quello derivato; il secondo, quello con il primo film di Raimi, se non altro per la inconsueta vicinanza cronologica e la similitudine della trama.
L’Uomo Ragno dei fumetti esiste dal 1962: ha attraversato cinque decenni di pubblicazioni, cambiando spesso pelle, generando versioni alternative, futuristiche, ancestrali, reinterpretato a seconda dei gusti del pubblico e della sensibilità degli scrittori che si sono alternati. Non ha senso, pertanto, parlare di una versione di riferimento per un confronto filologico, perchè non esiste un’ unica versione della storia delle origini o del personaggio.
Il film di Marc Webb è solo l’ultima – in senso cronologico – variazione sulla storia dello studente morso dal ragno radioattivo, adattata per lo stato dell’arte del mezzo cinematografico. Legare le origini di Spider-Man ad una storia con Lizard è anzi una licenza narrativa senza precedenti e certamente favorisce la visione per quanti conoscono a memoria la storia classica. Se un confronto dunque è lecito con lo Spider-Man dei fumetti è nello spirito del personaggio, che è rimasto pressoché lo stesso nonostante gli stravolgimenti narrativi ed editoriali imposti dal tempo o dalle esigenze commerciali di turno.
L’elemento di forte discontinuità di Amazing con la tradizione, sia cartacea che cinematografica, è nella figura di Peter Parker. L’interpretazione, come sempre ottima, di Andrew Garfield dà vita ad un Peter meno nerd e meno isolato di quanto sia sempre stato rappresentato. E’ solitario, ma non è un perdente, è timido, ma non patologicamente, è intelligente, ma non è un secchione, è sventato e sfrontato. La sua storia d’amore con Gwen Stacy inizia (e sarebbe andata avanti) anche senza l’intervento del ragno, che storicamente è l’elemento che accresce l’autostima di Peter e lo fa uscire dal guscio. Il Peter diretto da Marc Webb è un personaggio interessante e più sfaccettato, sicuramente più autentico della versione di Tobey Maguire ed è spiazzante per chi ha sempre letto i fumetti. Lo scarto narrativo ricorda quello del Tony Stark di Robert Downey Junior, che ha dato al suo Iron Man (Jon Favreau, 2008) una personalità inedita e certamente cinematografica. I risvolti narrativi di questa nuova versione di Peter Parker, con un po’ di coraggio in fase di sceneggiatura, potrebbero essere interessanti (ma non c’è da sperarci troppo).
Il reboot cinematografico, dovuto all’impossibilità economica ed artistica di proseguire la saga con Raimi e Maguire, dopo un dimenticabile terzo episodio, è stato un classico esempio di necessità fatta virtù. Chi legge abitualmente i fumetti di Spider-Man è abituato a vedere i lineamenti dell’eroe mutare a seconda dell’artista e le sue origini essere periodicamente narrate o reinterpretate a seconda delle esigenze creative o commerciali. Meno comune è vedere un franchise ripartire così bruscamente, ma decontestualizzare il progetto del riavvio dal momento storico potrebbe far pensare solo ad una scelta insensata e di comodo.
L’evento fondamentale nella cronologia recente dei cinecomic è senza dubbio il Batman di Christopher Nolan, che testimonia come non sia necessario scegliere tra dignità cinematografica e successo commerciale, tra soggetto maturo e personaggio principale vestito in maschera. Nel confronto, la trilogia di Raimi, pur superiore alla stragrande maggioranza dei film sui supereroi Marvel prodotti successivamente, sembra un cartone animato della domenica mattina, con personaggi tagliati con l’accetta ed una storia telecomandata verso un finale scontato.
Se un cambio di direzione si è rivelato pertanto necessario per diversi motivi, The Amazing Spider-Man è un goffo ibrido tra due approcci opposti (la serialità della Marvel e una dimensione più autoriale ed adulta – almeno nello stile), che non riesce però ad appartenere in maniera soddisfacente né ad una visione del cinecomic né all’altra. C’è tempo per correggere il tiro, l’appuntamento con il seguito è per il 2014.