Caratteristica del mito è quella di rigenerarsi continuamente, adattandosi ai tempi ed ai media, conservando intatto il valore che racchiude nascosto in un racconto di fantasia. Dopo quarant’anni di versioni a fumetti e cartoni animati (e qualche dimenticabile film dal vivo), Spider-Man arriva al cinema nel 2002. La tecnologia è finalmente in grado di garantire la spettacolarità dell’azione richiesta ed i tempi sono maturi perché i supereroi tornino al cinema dopo un prolungato iato dovuto ai disastrosi Batman di Joel Schumacher (Batman Forever del 1995 e Batman e Robin del 1997). Non esistono ancora i Marvel Studios e la Sony si assicura i diritti dell’eroe di punta della Marvel, Spider-Man.
Il film di Sam Raimi (L’Armata delle Tenebre, “Army of Darkness” 1992), che si giova di un’ottima colonna sonora di Danny Elfman, esce all’alba della stagione dei cinecomic, preceduto soltanto dal serioso X-Men (id. , 2000) di Bryan Singer.
La prima iterazione cinematografica del tessiragnatele di casa Marvel, attesa al varco da milioni di fan in tutto il mondo, si può prendere poche licenze narrative, limitandosi a rielaborare per un film di due ore gli episodi salienti della prima parte delle avventure di Spider-Man (dalle origini allo scontro finale con Norman Osborn, uscite negli anni sessanta), modificando alcuni elementi per esigenze di copione e prendendo spunto per la caratterizzazione dei personaggi (in particolare Mary Jane ed Harry) e per l’aggiornamento dell’incidente del morso del ragno dalla serie a fumetti Ultimate Spider-Man, che dal 2000 racconta una versione moderna delle avventure di Spider-Man, ricominciando la storia dall’inizio.
Dopo una prima parte sulla genesi dei poteri, il film si concentra su un triangolo amoroso tra Peter, Harry e Mary Jane (che è il prezzo che l’adattamento di un fumetto paga ad Hollywood) che rimane irrisolto alla fine del film e che forse toglie spazio ad altri elementi che sono solo accennati, come il Daily Bugle. Curiosità: nei panni di Betty Brant una irriconoscibile Elizabeth Banks con caschetto, certamente un personaggio che poteva essere sfruttato meglio.
Una nota sul cast: Tobey Maguire alterna momenti in cui è perfetto nel ruolo di Peter Parker (soprattutto nelle scene leggere) ad altre in cui non riesce ad essere convincente, per esempio quando piange. James Franco, all’epoca semisconosciuto, ha poco spazio per mettere in mostra il suo talento nel ruolo di Harry Osborn, ma si rifarà nei due sequel. Il vero punto debole del casting (e del film) è Kirsten Dusnt, il cui livello di recitazione è imbarazzante quasi quanto lo sconsiderato make-up (non c’erano attrici rosse naturali?). Non la aiuta un personaggio del tutto sbagliato, sia rispetto alla versione classica sia a quella Ultimate. J.K Simmons dà vita ad un Jonah Jameson da applausi, mentre Willem Defoe è a volte un po’ sopra le righe, ma è un convincente e spaventoso Norman Osborn. Poco felici risultano le scelte per zio Ben (Cliff Richardson) e zia May, con Rosemary Harris ai limiti della parodia.
A vederlo oggi, risulta un film invecchiato molto rapidamente e male, a meno di non intravedere, a distanza di anni, una sottile vena parodistica ed uno humour camp nascosti con sapienza da Sam Raimi in un’opera che risulta comunque superiore a gran parte dei successivi film sui supereroi, ma che contiene effetti talvolta dozzinali e scelte discutibili (l’armatura di Goblin) ed una trama che risente dell’effetto post 11 settembre.
Spider-Man genera due sequel, l’ultimo dei quali (del 2007) scontenta i fan e lo stesso Raimi, che lamenta ingerenze degli studios ed infine abbandona insieme a Maguire la lavorazione del quarto episodio. Nel frattempo il cinema scopre il 3D e il Batman di Christopher Nolan, che cambia le regole del genere supereroistico. The Amazing Spider-Man (id, Marc Webb, 2012) viene quindi annunciato come un vero e proprio reboot: un nuovo regista, un nuovo cast, una nuova storia delle origini di Spider-Man, l’immancabile 3D e la solita pianificazione in una nuova trilogia.
I dieci anni che separano lo Spider-Man di Raimi dal film di Webb si vedono tutti in termini di effetti speciali, ma se la versione di Webb risulta nettamente superiore per livello della recitazione e caratterizzazione dei personaggi, il primo Spider-Man conserva un’autoconsistenza ed un’esaustività che l’ultima iterazione sacrifica in nome del marketing e della serialità (il film di Webb sembra piuttosto l’episodio pilota di una fiction), risultando di fatto un’opera più completa e genuinamente cinematografica.