Anno: 2013
Silencio en la tierra de los sueños: silenzio nella terra dei suoni, un titolo che dichiara da subito la natura eminentemente acustica di questo lavoro.
Il film di Molina ha un passo lento ed estenuato che confina con una stanchezza infinita. La stanchezza è quella di una anziana donna, unico personaggio umano di questo film (l’altro è un cane pezzato di bianco e nero) che compie reiterativamente azioni quotidiane, si sveglia, pulisce casa, mangia, passa lunghi periodi guardando fuori dalla finestra, offre avanzi a un cane randagio, si addormenta. L’obiettivo di Molina ci restituisce queste micro azioni con minuziosità calligrafica e indugia per tempi infiniti su azioni minime, una mano che liscia il lenzuolo con lentezza estrema, la piega scrupolosa degli angoli, la cura delle simmetrie e dei cuscini, l’azione interminabile dello sbucciare le patate, Il primissimo piano dei piedi callosi di lei mentre dorme russando mantenuto nella sua immobilità sino a divenire difficilmente sostenibile, momenti lunghissimi di stasi assoluta in cui lei guarda le vite degli altri accadere, spiando fuori della finestra, tempi dilatatissimi, lunghissimi piani-sequenza, e campi strettissimi. Per istanti interminabili il nostro campo visivo viene invaso dal dettaglio delle carni cadentissime del flaccido sottomento della signora che si alza e si abbassa nella respirazione del suo sonno, il particolare insistito delle mani rugose e maculate e l’attaccatura sul collo dei capelli non pulitissimi e bianchi, i segni della decadenza.
La casa è popolata da un silenzio infinito, che è infinita solitudine, mancanza di vita, tutto il suono che sentiamo in questo film viene da fuori, filtra dalle finestre aperte e intesse lo spazio del nostro ascolto di molteplici micronarrazioni puramente acustiche: i giochi e i litigi tra i bambini, le dispute tra i cani, le canzoni dei musicisti che stazionano di fronte alla casa, i discorsi della gente che ancora vive in contrapposizione con il silenzio della nostra protagonista che invece non vive più, gli unici fatti che accadono in questo film accadono fuori, in modalità non visualizzata e non coinvolgono la protagonista. E mi pare che sia proprio la dicotomia tra parola e silenzio\ascolto, a segnare il discrimine fondamentale nel disegno di senso di questo film. Chi ancora ha energia per vivere parla, canta, ride, emette suono, mentre la nostra protagonista può solo ascoltarli vivere dal suo ricovero di silenzio. A permettere questo passaggio tra l’esterno, il luogo della vita, e il dentro, presidio del silenzio, sono le finestre costantemente aperte della casa, luoghi feticcio nella semantica dell’opera, di mediazione tra quel dentro antivitalistico e silente e il fuori, dove alberga il suono e la voce canta di vitalità.
La donna passa tempi interminabili immobile guardando la vita degli altri accadere, ascoltandola risuonare.
Si avanza quasi con un senso di fatica per grandi reiterazioni di azioni identiche che si ripetono con cadenza giornaliera, il ritmo dei cicli è segnato dall’immobilità delle lunghe sequenze dedicate al sonno. Una ripetitività che genera noia e prevedibilità (quando per l’ennesima volta la vediamo rassettare casa sappiamo in anticipo quali superfici luciderà, o come rifarà il letto ecc.). Questa tortura del sempre uguale prosegue sino a un giorno come tanti in cui la signora fa per alzarsi dal letto e iniziare la routine che ormai conosciamo bene, ma si ferma, ci medita sù e decide che è troppo stanca, si rimette a letto e si addormenta per l’ultima volta.
Un film faticoso, come la vita che mette inscena, che impone un’ esperienza di fruizione difficile allo spettatore, che si esaspera in tutta quella lentezza e minuziosità e che si annoia della infinita ripetitività di gesti che trascendono in rituali.
Ed è proprio per questi motivi che il film può dirsi riuscitissimo, perchè ci costringe a sperimentare una condizione del tutto simile a quella protagonista, a infastidirci per quell’ identicità dei giorni e dei gesti che rende prevedibile a noi la visione e a lei la vita, a provare il suo stesso disagio per gli indici della vecchia, come le carni molli e le rughe, a seguire con lei le narrazioni create dai suoni fuoricampo per mitigare un po’ il vuoto spinto che aleggia in quella casa ecc.
Un bel film, direi, ma solo per cinefili duri e puri.