Anno: 2014
Of girls and horses: Le adolescenti, l’amore e i cavalli sono gli assi portanti di questa tenue narrazione tutta al femminile.
Lo spunto è parzialmente autobiografico e racconta del soggiorno della giovane Alexa (Ceci Chuh), alter ego poetico-problematico della stessa regista, in una fattoria dove deve trascorrere, per imposizione materna, un periodo di riabilitazione per alcuni generici problemi di droga su cui ulteriormente il film non indaga, ma che servono a fornire allo spettatore una percezione immediata della dimensione problematica di questo personaggio.
Nella fattoria Alexa fa la conoscenza di Nina (Vanida Karun), istruttrice di equitazione e fac-totum della struttura, che solo con grande pazienza riesce ad aprire una timida breccia nell’ostilità pietrosa dietro cui si trincera inizialmente la giovane.
La vita trascorre quasi immobile alla fattoria, secondando i ritmi ancestrali della natura e delle sue leggi, i giorni e le notti si popolano di una sorta di ritualità antica e minore, di gesti ripetuti da milioni di braccia e di corpi per secoli e secoli. L’iniziale intemperanza di Alexa allenta un po’ la sua morsa e lei si concede lunghe pause introspettive, immersa nella natura o al caldo contatto dei cavalli, silenziosi e gentili, che popolano questo film.
L’atteggiamento stilistico della Treut non fa che secondare questa propensione ritmica e rituale e distende il suo testo su tempi quasi pigri, fatti di lunghi stacchi di montaggio e quadri spesso immobili, risplendenti della sola vastità della natura e dei lunghi silenzi in cui parlano solo il vento, gli uccelli e le cicale, intorno alle placide sagome dei cavalli al pascolo.
Se si esclude una breve canzoncina proveniente dall’autoradio di Nina e della sua compagna, l’asciuttissima messinscena della Treut rifiuta l’espansione sentimentalistica e gratificante (per lo spetatore soprattutto) di qualsiasi commento musicale e si affida alla nudità acustica del suono di macchina, popolato di sfondi naturali intessuti di canti d’uccelli, stormir di fronde e di piogge. Ne sortisce una sorta di composizione rumorista, come una vasta partitura dal ritmo lento, che accompagna empaticamente questa sorta di immobilità riflessiva e densa della vita campestre.
L’importanza con cui risaltano su questo sfondo-contenitore-sonoro i rumori puntuali delle azioni dei personaggi, soprattutto quelli normalmente poco percettibili, come il frusciare del fieno provocato dal passaggio di qualcuno, il respirare dei cavalli e tutti quei piccoli rumori che nell’ambiente acusticamente inquinato della città andrebbero smarriti, servono qui a creare una sorta di silenzio magico, denunciano la totale assenza di rumore di fondo, e dunque dell’ambiente metropolitano, e ci permettono di immergere l’intera narrazione in una sorta di dimensione emozionale sospesa e pacificata, un tempo immobile, che forse è solo interiore, libera dalle pressioni del nostro quotidiano cittadino e iper-prestazionalista.
Sul piano narrativo avviene la svolta significativa quando arriva Kathy (Alissa Wilms), biondissima e promettente cavallerizza dal fisico statuario, che deve trascorre in fattoria un periodo di vacanza durante il quale seguire un corso di dressage tenuto da Nina.
Comincia tra le due coetanee una lentissima fase di reciproca esplorazione, circospetta, all’inizio, poi sempre più aperta, disponibile alla confidenza e alla conoscenza di quell’altro in cui ritroviamo noi stessi.
Piccole complicità si susseguono nei giorni, a costruire, con calma, il rapporto tra le due. Giocare insieme nel fango, ballare o fare una gita in bici fianco a fianco, trovare segreti da condividere, come quando Alexa si procura dell’alcool e un po’ di erba, lasciarsi andare a confessioni impronunciabili di fronte ad altri, come quando sempre Alexa confessa all’amica di essere stata adottata e che soffre per l’assenza della sua vera madre brasiliana, una mappatura di scarti minimi dell’anima, di microgesti, che acquistano un valore ingigantito nella costellazione emotiva delle due protagoniste.
Il crescendo è condotto bene dalla regista, forse solo leggermente dilatato nel ritmo, lento nello sviluppo, forse poco appariscente nel raggiungimento del suo culmine, che si pudicamente si limita a un casto bacio nel fienile, dopo che le ragazze hanno bevuto un po’.
Poi apprendiamo che Kathy deve tornare a casa per via della fine delle vacanze.
A questo punto Monika Treut sceglie di sospendere la sua narrazione quasi all’improvviso, lasciando lo spettatore in sospeso, incerto sugli esiti del processo trasformativo che come un’estate (e per un’estate) ha fatto fiorire l’amicizia tra Alexa e Katy, e chiude con la bella inquadratura (forse solo un po’oleografica) di loro due che si allontanano a cavallo, stagliate tra un cielo immenso e metallico e la sabbia di una grande spiaggia, mentre si fanno promessa di rivedersi presto.
Il film si ferma a quel momento di una storia d’amore, magico per senso di poesia e aspettative, in cui le cose, ancora, non hanno preso la propria svolta materiale che le renderà concrete, misurabili, e tutto può ancora accadere, emozionandoci.
Una scelta di gusto delicata e che definirei “appropriata”, ma che in qualche modo si rifà a certe modalità ricorrenti nella cinematografia di genere, facendomi venire in mente altri film del tutto simili come l’altrettanto poetico Mosquita y Mary di Aurora Guerriero.
Particolarmente belli certi quadri delle campagne illividite nel crepuscolo coi cieli sconfinati e ferrigni, immobili nel suono di grilli e di vento e quelle in cui lo scrosciare della pioggia o della natura si gonfia sino a diventare la risacca di un’ipnotico mare che avvolge tutto e dilata ulteriormente spazio e tempo.
Un film certamente non facile per la fruizione generalista, ossuto com’è nell’impianto formale e minimale nelle tessitura narrativa, quasi immobile, a cui, forse, qualche brivido in più, qualche piccola scossa emozionale, avrebbe in certa misura giovato. Resta comunque animato interiormente da sua poesia, sommessa e delicata, da un’atmosfera sospesa e come incantata, che a molti potrebbe piacere, un piccolo e amabile quadro di quell’età incerta e fantastica della vita che è l’adolescenza.
Buona visione