Regia: George Clooney
Anno: 2014
Monumenti capitali di una civiltà millenaria razziati dai pilastri di un Terzo Reich sul punto di franare. Dispersi tra Francia, Belgio e Germania, al di qua e al di là delle linee nemiche. L’esercito Usa è alleato in prima linea nel recupero del dorato bottino di guerra. Ma disertore piuttosto disinteressato sul fronte cultura. I rinforzi arrivano allora dai Monuments Men, plotone d’avanguardia accademica sbarcato nelle retrovie di una Normandia semi deserta. Quando ormai ogni battaglia è terminata e non resta che il conteggio di pitture e sculture superstiti da scovare, restituire alla madrepatria e rinfocolare a pubblica gloria.
George Clooney recluta e (ri)addestra vecchie e nuove generazioni alla memoria. Armato di bacchetta e diapositive, abbassa le luci e spiega la lezione alla classe di politici (Roosevelt) e spettatori disattenti, dimentichi o ignari di un periodo di Storia (dell’arte) che ha rischiato di veder scomparire alcuni fra i più grandi capolavori del passato.
Un’opera d’arte da issare sul piedistallo che merita, vale l’immolazione di una o più vite? Frank Stokes non ha dubbi. Vedrà compagni sacrificati come agnelli sull’altare del Polittico di Gand di Van Eyck. E un martire immortalato in dignitosa pietà ai piedi della Madonna di Bruges di Michelangelo. Vite umane cancellate per restaurare un patrimonio inestimabile a rischio estinzione.
Riassemblare pannelli di storia con brandelli di vissuto strappati da pareti vuote, proprio come in un polittico. Tra pezzi mancanti andati perduti e onorevoli caduti in battaglia. Tesori nascosti sotto il sigillo di svastiche e croci di ferro restituiti all’umanità. Unico, legittimo destinatario, non proprietario, di tanta bellezza. Un museo offerto al mondo, invece del mausoleo privato erto a misura di un folle. Il vecchio, mediocre studente di belle arti (anche se l’architetto Bill Murray ne apprezza uno schizzo giovanile) divenuto dittatore. Vittima di una grandeur di cartapesta che lo lascia intrappolato all’ombra dei resti di un plastico in miniatura (l’agognato Führermuseum).
L’opera d’arte ha spirito e respiro troppo grandi per appartenere a un solo individuo, ingessandosi nel feticcio di un collezionista capriccioso. Vale anche per il cinema, naturalmente, se due dei Monuments Men si sdraiano sull’erba in compagnia del soldato tedesco, fumando tutti una sigaretta alla “John Wayne”. Per un Rembrandt, un astronomo di Veermer e un gruppo di statue di Rodin (I borghesi di Calais) salvaguardate, resta il rammarico per la cornice di un Picasso dato alle fiamme e il “Ritratto di un giovane uomo” di Raffaello che Stokes continuerà a cercare, probabilmente invano.
C’è comunque abbastanza per apparecchiare le tavole dell’arte, prendere per mano i giovani eredi e mostrargli l’eredità dei maestri. In visita guidata nella pinacoteca di reperti riscattati fra inaccessibili gallerie minerarie. Grazie a uomini cui sarebbe giusto scolpire un monumento.
Tra dramma storico, intento didattico e lievi pennellate di commedia (il trailer lasciava presagire ben più mordente), l’incursione di Clooney sul suolo europeo mette in fila busti rinascimentali, cittadine francesi, architetture e suggestivi paesaggi fiamminghi. Ma la lingua parlata è sempre quella del patriottismo americano, sincero ma velatamente paternalista (la parentesi parigina con Cate Blanchett). Non a caso, chiunque incontri il tenente James Granger/Matt Damon, continua a dissuaderlo dal parlare un francese maccheronico. Tutti, anche autoctoni e nemici, conoscono la lingua dell’eroismo a stelle e strisce. Ça va sans dire.