Lo sceneggiatore in crisi Owen Wilson vive una magica avventura notturna nella spumeggiante Parigi degli anni Venti in questo piccolo gioiello firmato Woody Allen.
Che sia un mattino assolato o un pomeriggio piovoso, giorno o notte, estate o inverno, Parigi è sempre meravigliosa. Credo sia questo il messaggio che Woody Allen ha voluto lanciare agli spettatori nei primi tre minuti del suo Midnight in Paris: con una deliziosa introduzione a ritmo di jazz, ci mostra una carrellata di scorci della città che farebbe venire a chiunque una voglia pazza di saltare sul primo aereo e precipitarsi nella capitale francese.
“Che Parigi esista e qualcuno scelga di vivere in un altro posto nel mondo sarà sempre un mistero per me”, scrive infatti l’affascinante Adriana (Marion Cotillard) sul suo diario: e tutto il film è, in realtà, una neanche troppo velata dichiarazione d’amore alla città, che non è mai stata così bella e fotogenica. Ma è anche l’originale storia di Gil (Owen Wilson), sceneggiatore in crisi prossimo alle nozze con l’insopportabile borghese californiana Inez (Rachel McAdams) e follemente innamorato di Parigi. Per qualche misteriosa ragione, ogni notte, a mezzanotte, Gil avrà la possibilità di rivivere la sua personalissima età dell’oro: i ruggenti anni Venti parigini, dove incontrerà tutti i suoi miti, letterari e non, del passato: da Fitzgerald a Hemingway, da Picasso a uno spassosissimo Dalì (Adrien Brody).
Guardando Owen Wilson sembra di guardare Woody Allen: la stessa camminata, il parlare nervoso, addirittura il modo in cui gesticola e si mette le mani nelle tasche dei pantaloni; per non parlare del personaggio di Gil, forse il più alleniano che avessimo mai visto da molti anni a questa parte nei lavori del cineasta newyorkese.
Il film ha meritatamente vinto il Premio Oscar alla migliore sceneggiatura originale nel 2012 (premio non riconosciuto da Allen, che non si è presentato alla cerimonia per ritirarlo, come già era successo nel 1978 per le quattro statuette di Io e Annie), e nonostante alcuni addetti ai lavori abbiano trovato la pellicola non particolarmente interessante (e anzi, a volte addirittura deludente), la sottoscritta la ritiene invece la migliore opera del regista dai tempi di Match Point: la magica atmosfera parigina che accompagna Gil nelle sue peripezie notturne fa sognare, fa quasi sperare che prima o poi anche a noi capiti un’avventura così straordinaria.
Avventura che va però consumata in un paio di notti, per poi tornare alla realtà. Perché si sa: di soli sogni non si vive, e il passato, per quanto idealizzato e meraviglioso possa essere, è pur sempre il passato. Forse è meglio vivere nel presente, per quanto eternamente insoddisfatti esso ci renda; se lo si fa a Parigi, poi, ancora meglio.