Regia: Peter Jackson
Anno: 2012
“Sto partendo per un’avventura”. Inizia così un nuovo viaggio nella fantastica Terra di Mezzo tolkeniana. Il regista Peter Jackson ci riporta indietro nel tempo di sessant’anni rispetto all’impresa di Frodo, in un prequel tratto dall’omonimo romanzo di J.R.R Tolkien, antefatto della trilogia de Il Signore degli Anelli (“The Lord of the Rings” Peter Jackson, 2001-2003).
Una combriccola di sgangherati e rumorosi nani irrompe nella tranquilla e spensierata vita del giovane hobbit Bilbo Baggins (Martin Freeman), il protagonista della nostra storia. Guidati dallo stregone Gandalf il Grigio (Ian McKellen), i tredici nani con a capo il guerriero Thorin Scudodiquercia (Richard Armitage) partono insieme al piccolo hobbit alla volta della Montagna Solitaria.
Ad attenderli un temibile drago di nome Smaug che sorveglia le ricchezze sottratte in passato ai nani e non permette loro il ritorno a casa, nel regno di Erebor. La spedizione si rivelerà piena di situazioni insidiose e sorprendenti, popolate da troll, orchi e altri mostri frutto dalla fantasia e dalla penna di Tolkien. Nel cuore delle Montagne Nebbiose Bilbo s’imbatte nella creatura Gollum; è qui che entra in possesso del prezioso anello che cambierà per sempre le sorti degli abitanti della Terra di Mezzo.
Peter Jackson, richiamato alla regia dopo la rinuncia di Guillermo del Toro, si è trovato questa volta tra le mani un’opera di Tolkien che si presta meno alla trasposizione cinematografica. L’adattamento in fase di sceneggiatura ha dovuto fare i conti con un materiale troppo scarno (non sufficiente a realizzare una trilogia di film di quasi tre ore ciascuno) e avaro di snodi narrativi e colpi di scena fondamentali nel mantenere un certo ritmo nello sviluppo della diegesi filmica.
Si sono perciò rese necessarie aggiunte e modifiche rispetto al testo originale, con conseguenze piuttosto evidenti. La storia stenta a decollare. Si assiste a una prima parte decisamente lenta: un lungo prologo in cui la presentazione dei tredici nani occupa grande spazio, con una serie di gag ripetitive che minano, in certi momenti, lo stile e la solennità del genere fantasy. La seconda parte del film invece, riesce a riscattare il difficile inizio portando un ritmo sostenuto alla narrazione e catturando maggiormente l’attenzione dello spettatore, grazie anche alla scelta di svelare alcuni retroscena legati a personaggi già noti al pubblico.
“Nel 1864 un uomo attraversò la frontiera in cerca dell’America. E trovò se stesso”: il genere e il contesto sono completamente diversi, ma le parole impresse sulla locandina del film Balla coi Lupi (“Dances with Wolves”, Kevin Kostner 1990) riassumono al meglio un tema chiave di questo primo capitolo de Lo Hobbit: il viaggio di formazione inteso, innanzitutto, come viaggio alla scoperta di sé. Perché andare oltre i confini del luogo in cui si vive, significa andare oltre i propri limiti e le proprie paure.
Si può decidere di ignorare la chiamata e rifugiarsi nella tranquilla e protetta contea, oppure fare come Bilbo Baggins che, dopo un tentennamento iniziale, sceglie di partire per una grande avventura e di affrontare i pericoli e le sfide del mondo là fuori. L’idea che ogni persona, anche la più piccola, può trovare la forza e il coraggio di cambiare la storia, di incidere, rappresenta una continuità tematica rispetto alle gesta dei quattro hobbit de Il Signore degli Anelli.
Sul piano dell’evoluzione tecnologica si assiste a una novità epocale nella storia del cinema. Dopo quasi un secolo di film a 24 frame al secondo, Peter Jackson raddoppia: sceglie, per la prima volta, di girare in un nuovo formato, un 3D nativo a 48 frame per ottenere una definizione dell’immagine ancora superiore, alla ricerca di un realismo sempre più sorprendente. In pochi però possono già oggi dare un giudizio sulla proposta tecnica rivoluzionaria de Lo Hobbit, dal momento che ci sono nel mondo meno di 1000 sale in grado di proiettare nell’innovativo 3D Hfr (High frame rate). Da un punto di vista teorico si dovrebbe avere un miglioramento della qualità in termini di definizione dell’immagine, in particolare di quelle in movimento. Dopotutto, la scelta dei 24 frame era vincolata a un numero di fotogrammi minimi per la sincronizzazione dell’audio e, visti gli ingenti costi della pellicola, si è mantenuto questo standard principalmente per ragioni economiche.
In attesa del secondo titolo della trilogia, La desolazione di Smaug, previsto per il 13 dicembre 2013 e del capitolo conclusivo, Andata e Ritorno, confermato per l’estate 2014, con Un Viaggio Inaspettato ricomincia per gli amanti della Terra di Mezzo (ma non solo) una nuova avventura fantasy che chiede solo di aspettare il suo sviluppo e l’epilogo, per un giudizio definitivo.