Regia: Haifaa Al Mansour
Anno: 2012
Il mondo di Wadjda è fatto di persone bianche e nere, ed è fatto di insegnamenti, giudizi e comportamenti giusti in senso così assoluto da essere santificabili, oppure categoricamente sbagliati, condannati, associati al demonio. Le sfumature non sono ammesse.
In questo assolutismo cromatico lei risalta come una piccola bandiera che sventola controvento, puntando, con instancabile leggerezza, verso una direzione tutta sua, al cui orizzonte vi è la realizzazione di un piccolo desiderio che per lei è grande e importante come fosse il paradiso.
Wadjda (Waad Mohammed) è una bambina che vive a Riyadh, la capitale dell’Arabia Saudita. La cultura tradizionalista del luogo impone al sesso femminile lunghi abiti neri, un velo a coprire il capo finché si è piccole, e l’abaya intero a coprire il volto quando si cresce. Alle donne non è permesso parlare o ridere troppo forte, né indossare in pubblico oggetti o vestiti colorati.
La signora Hussa (Ahd Kamel), preside della scuola femminile di Wadjda, è intransigente rispetto a queste regole. “Non sapete che la voce delle donne non deve uscire dalla porta di casa?”.
Wadjda porta il velo con non curanza, sotto di esso spuntano le All-Stars; lei ama la musica Rock, ama ridere e provocare i grandi e con essi l’impalcatura sociale teocratica che la circonda. “Sono bravissima in matematica: il teorema di Pitagora è un miracolo di Allah e il triangolo è sempre lo stesso”; inoltre Wadjda spaccia, alle sue compagne di scuola, braccialetti colorati fabbricati da lei, e si diverte a giocare col suo amico Abdullah (Abdullrahman Algohani), il quale possiede una bicicletta, cosa che alle ragazze non è permesso e che naturalmente spinge la piccola anticonformista a desiderare di averne una anche lei. La sua preferita, tra quelle del negozio di giocattoli, è verde. Per comprarla dovrà partecipare alla gara di Corano della sua scuola e vincere il premio in denaro.
La madre (Reem Abdullah) e il padre (Sultan Al Assaf) di Wajda, vivono una situazione di crisi matrimoniale. Lui è obbligato da sua madre a sposare un’altra donna perché possa donargli il figlio maschio che la madre di Wadjda non ha saputo dargli, (la poligamia è permessa agli uomini), lei teme fortemente di perderlo.
Il film è sicuramente una critica forte, in certi momenti anche satirica, ad alcuni costumi islamici e alle imposizioni più rigide della legge coranica, e rappresenta un motivo di riscatto e di emancipazione dell’universo femminile. Tuttavia, si nota come esso abbia allo stesso tempo anche un profondo legame di rispetto con la cultura arabo-islamica, con i suoi antichi e affascinanti simbolismi, col rinomato gusto tragico e appassionante delle sue storie d’amore (che fiabe come Storia di Aladino e della lampada meravigliosa e Storia di Nur ed-Din e della bella Araba ci hanno fatto apprezzare fin da bambini).
Il rosso, nella cultura islamica, rappresenta spesso la conquista, la battaglia, come quella che la madre di Wadjda decide di intraprendere contro le potenziali future mogli di suo marito, che devono incontrare al ricevimento per il matrimonio di uno zio. Lei infatti decide di comprare, per l’occasione, un vestito così bello da far risaltare il suo fascino a tal punto che le altre non avrebbero avuto alcuna speranza di conquistare suo marito, e il vestito che sceglie è rosso perché lei è decisa a combattere per il suo uomo, a cui la madre ha imposto di trovare una nuova moglie, proprio come Aladino combatte per la sua Jasmine il cui padre l’ha promessa sposa ad un altro.
La provocazione è lampante, il gioco dei sessi è ribaltato proprio in una cultura in cui è esso ha un peso enorme. Ma nella provocazione c’è anche il gusto appassionante dei simboli e della storia d’amore tipicamente mediorientale.
Lo stesso espediente narrativo lo ritroviamo in Wadjda e nel suo desiderio per la bicicletta verde.
Il verde è il colore sacro del paradiso. Come scritto nel Dizionario dei simboli islamici di Malek Chebel, il verde è il “colore dell’Islam, del Paradiso musulmano, il verde era inoltre il colore preferito del Profeta Maometto e dei suoi compagni. Da ciò, il suo carattere sacro”.
Ecco allora che il personaggio di Wadjda assume una connotazione tutta particolare: provocatoria e coraggiosa perché la piccola è una ragazza ribelle ma nonostante ciò è a lei che spetta il colore più sacro, ma anche carica di una forte devozione culturale-religiosa: primo, perché il paradiso lo si conquista con fatica, e secondo perché, quando Wadjda sale sulla sua bicicletta verde, un sorriso nuovo, che prima non aveva mai avuto (e questo rende merito alla grande interpretazione della giovane attrice), si stampa sul suo volto; il suo è uno sguardo beato.
La tradizione fiabesca mediorientale è inoltre rintracciabile nella figura della donna, in particolare della piccola Wadjda, che è intelligente e astuta come Sharazad di Le mille e una notte.
Il film procede con ritmi tutti suoi, fatti anche di pause, talvolta lunghe, scandite dalle note arabeggianti composte da Max Richter e da suggestivi scorci fotografici della periferia di Riyadh, che non costituisce solo lo sfondo della vicenda ma è una presenza costante, personaggio tra i personaggi.
Haifaa Al Mansour è la prima regista donna dell’Arabia Saudita. Il suo film è stato accolto con incredibile successo al Festival di Venezia (agosto 2012) nella sezione Orizzonti.
Da vedere.