Regia: Francesca Muci
Anno: 2012
Storia di donna. Profumo di donna. Dolore di donna. E poi, come recita la colonna sonora di Tiziano Ferro, l’amore è una cosa semplice.
Lieve, troppo lieve è l’amore! Non ti avverte. Si confonde, camaleontico, tra le mille e uniformi tinte della quotidianità. Non si programma l’amore. Nasce e non sai il perché. Cresce e vorresti non accadesse. Muore e, impotente, non sei capace di porvi rimedio. Imperfetto è l’amore. Somiglia alla vita, del resto. Sa donare il mellifluo piacere di un tè nel deserto e il ruvido sapore di un improvviso risveglio. È leggero, così leggero, da non esistere.
Un racconto sincero che indaga gli ultimi otto anni di una giovane trentacinquenne. Un film che guarda ma, forse, non osserva i mutevoli sentimenti di un’incauta donna. Una vicenda che illumina l’arco levigato dell’universo femminile dimenticando, però, d’inquadrarne la chiave di volta.
Elena (Anna Foglietta) s’invaghisce follemente di Marco (Giulio Berruti) e, dopo un intricato e biunivoco corteggiamento, i due decidono di andare a convivere. Una sera qualunque, dopo una giornata qualunque, l’aculeo del sospetto s’insinua in lei. Decide di pedinarlo: la cornice che si palesa dinnanzi agli occhi raggela. Lui la tradisce con un aitante fotomodello. Elena è incinta, ma il dolore di portare in grembo il figlio di chi ha mortificato la sua pulsione si fa insopportabile. La scelta è estrema. Gli anni trascorrono e, per un fortuito evento, la protagonista si scontra con la prepotente spregiudicatezza di Adriana (Loredana Cacciatore) e con la matura seduzione di Ettore (Bruno Wolcowitch). Da ora innanzi un triangolo maliardo che occuperà il focus scenico della pellicola. Il finale scuote le corde della commozione.
L’amore è imperfetto, primo lungometraggio di Francesca Muci e libero riadattamento del suo omonimo romanzo, è la narrazione frastornante della crescita sentimentale di un’intellettualoide correttrice di bozze che si trova, quasi impotente, di fronte al confuso turbinio di eventi che le sconvolge la vita.
Un testo che tratta con disinvoltura, e forse noncuranza, moventi e risvolti emozionali dell’impulso affettivo omosessuale. Una visione a tratti acerba, frivola, superficiale del legame tra individui del medesimo sesso. Pur soffermandocisi con estrema levità, l’obiettivo sembra sovente metterne a fuoco gli elementi interferenti, squilibrati, irregolari riecheggiando, talvolta, il retaggio di superate dottrine psicanalitiche.
La trama si svolge cadenzando e opponendo fasi di serena normalità a momenti di perturbante anomalia, secondo una dicotomia oppositiva e per nulla conciliativa.
La convincente interprete riesce a vestire con estrema spigliatezza i panni disinibiti di Elena e, con una parvenza dai tratti ora delicati, ora estremamente forti, enuclea il dramma profondo di una madre che vive, solo in potenza, il suo ruolo genitoriale. Con grande disinvoltura viene sapientemente celato, sin quasi alla fine, lo strazio e il supplizio di chi decide di privarsi, intenzionalmente, del più semplice tra gli amori: quello per un figlio.
La pièce cinematografica ha il pregio di collezionare una congerie di importanti tematiche e di schizzare volti umani di ogni età, sesso o sessualità fossilizzandoli, però, in una tipizzazione prototipica e monolitica, talvolta, poco realistica. Il bel fotografo bohemien, la donna ferita e, per questo, dall’animo confuso e apparentemente arido, la diciottenne trascurata dal padre e, per tale ragione, attratta dal cosmo femminile, il maturo e fascinoso cosmopolita in grado di ammaliare, quasi per la paterna presenza, l’insicura ragazza tradita.
L’opera della Muci non può non riportare alla memoria il plot di Diverso da chi? (Uberto Carteni, 2009) commedia, quest’ultima, riuscitissima grazie a una prosa fluida, semplice, agile, senza troppe pretese, ma non priva di spunti originali.
Medesimo il triangolo Lui, Lui, Lei, medesima la questione inerente alla genitorialità dei singol, prescindendo dalle inclinazioni sessuali delle parti, medesima la naturalezza con cui viene declinato lo spazio emotivo, in tutte le sue forme. Disomogeneo il punto d’approdo. Uno scanzonato finale che lascia il sorriso e una vena di meditata malinconia, nella storia di Carteni, un drammatico pianto liberatorio, dissonante col resto della vicenda, nell’ultima fatica della Muci.
La regista, con un’incessante sequenzialità di flashback costruisce, a ritroso, l’indole germinale della protagonista denudando, poco a poco, i frammenti carnali del suo disincanto e vestendo, pian piano, le diafane ombre della sua interiorità ferita.
Supremo, infine, il messaggio ultimo che sembra prender vita dalle lacrime di Elena durante la scena conclusiva del lungometraggio. Messaggio quasi inatteso. Messaggio che, come fulmine, strazia e illumina quel cielo confuso. L’amore non imperfetto è solo quello di una madre e di un padre: l’unico che non dovrebbe celare tradimenti. Non dovrebbe.
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