Friedkin (L’Esorcista, 1973; Il Braccio violento della legge, 1971; Cruising, 1980; per citare alcuni titoli) avvolge le immagini di Killer Joe con un sound-design dalle qualità profondamente materiche, tattili: la spazializzazione dei suoni ambientali particolarmente pronunciata definisce con cura la vastità degli spazi aperti e crea una contrapposizione netta con gli interni claustrofobici e malsani, i rumori puntuali di corpi e oggetti designano le traiettorie spaziali delle immagini con una mobilità che lascia storditi.
L’accentuazione degli spostamenti laterali, delle proiezioni in profondità o in avanti, i rumori che paiono bucare lo schermo per colpire lo spettatore dritto sul viso, forzano il pubblico ad una immersione anche fisica all’interno della dimensione spaziale della diegesi aumentandone il grado di adesione alla realtà fittizia posta in essere dal film.
D’altro canto l’audio acquisisce una funzione drammaturgica di prim’ordine, attraverso un magistrale lavoro di manipolazione delle frequenze: i bassi dilatati all’estremo riescono a dare un pondus materico, fisico, ai cazzotti, alle esplosioni delle armi da fuoco, alle mazzate di ogni genere che aprono le carni dei volti, e di cui possiamo percepire l’orribile peso, quasi il dolore (esempio mirabile di questo atteggiamento è il micidiale pugno che Joe assesta sul bellissimo volto di Gina Gershon quando ne scopre l’inganno: la sferzata di frequenze basse che accompagna l’impatto ci colpisce direttamente allo stomaco, caricando le immagini di un orrorifico valore aggiunto).
Merita certamente una menzione particolare la prestazione vocale di Matthew Mc Conaughey il quale riesce a caratterizzare il proprio personaggio conferendogli una identità sonora specifica e ben delineata: il timbro è profondo, aiutato da un missaggio che ne accentua i bassi, l’incedere della parlata è lento, dilatato da una sorta di indolenza locutoria da cui spira un senso di incombente minaccia, una calma ma innegabile promessa di ferocia che ci riporta a certi anti eroi quasi afasici di certo cinema dei duri degli anni Settanta (Bronson, Eastwood et similia).
Alcuni di questi aspetti mi pare vadano perduti, almeno in parte, nella versione doppiata per l’Italia, con grave perdita per quello che riguarda la caratterizzazione del personaggio. La questione non riguarda certo le qualità attoriche dell’ottimo Francesco Prando, che da questo punto di vista risulta perfettamente calato nella parte, quanto l’impossibilità di riprodurre perfettamente le qualità timbriche dell’originale e di rendere in italiano gli andamenti strascicati della parlata gergale di Mc Conaughey.
Le necessità del doppiaggio, inoltre, hanno reso necessaria l’aggiunta di alcuni tappeti musicali non sempre opportuni, laddove il suono ambientale di presa diretta, più scarno ed essenziale, conferiva un surplus di crudezza ad alcune scene (si veda, per esempio, la scena del primo incontro e della contrattazione tra Joe Chris e Ansel che ha luogo nella sala da biliardo)
Le musiche tra il country e l’acido-onirico non si limitano a riempire i vuoti e commentare ma creano scenari, generano atmosfere in perfetta consuonanza sincrona con la messa in scena.
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