Regia: Mario Martone
Anno: 2014
“Io non ho bisogno di stima, di gloria o di altre cose simili. Io ho bisogno di amore, di entusiasmo, di fuoco… di vita”
Parole del giovane protagonista che Elio Germano rende esaltante nella sua interpretazione. Parole che descrivono la vera essenza di Leopardi, il quale non riesce mai concretamente a colmare la sua sete di vita, ma ne coglie immensamente i significati attraverso quei versi eterni che lo rendono uno dei poeti più importanti della nostra letteratura.
Presentato in concorso alla 71esima Mostra Internazionale d’arte cinematografica di Venezia, Il giovane favoloso è un’opera biografica del grande autore italiano nel quale il regista sceglie di mostrare a tutto tondo gli eventi fondamentali di una vita dedita alla scrittura e allo studio; ma soffermandosi, soprattutto, sull’importanza di alcuni valori che vengono messi in mostra grazie a passi di sceneggiatura azzeccati o a movimenti di macchina espressivi.
La vita di Giacomo Leopardi presenta le sue varie fasi che il regista, nonché sceneggiatore, segue cronologicamente dando ampio spazio ai fulcri fondamentali dell’infanzia a Recanati e al soggiorno napoletano che segnerà poi la sua ultima tappa.
La storia procede fluidamente grazie ad una sceneggiatura ben scritta e ben strutturata che intervalla la narrazione con sprazzi poetici dove il protagonista si esprime per mezzo dei suoi versi come a voler sintetizzare artisticamente i sentimenti che i fatti vissuti generavano, chiedendo in questo modo allo spettatore di entrare nella sua ottica, nel suo pensiero.
L’infanzia a Recanati si presenta piuttosto ampia quasi a volersi porre come introduzione alla poesia che stava per aver inizio; mostra le ragioni di un tale pensiero nella mente del poeta e il suo vero obiettivo che purtroppo non raggiungerà mai. Troviamo valori importanti come l’amore fraterno che lega i fratelli Leopardi, quasi ossessivo; la severità del padre Monaldo che porta il giovane a reprimere la sua vera indole libertina; e l’importanza dello studio e della scrittura, fondamentali nel protagonista. Dunque, la prima parte è come un soggetto alla base della stesura definitiva della vita dell’autore: attraverso un codice più teso all’immagine e alla parola poetica, specificando locazione e data, tratta in breve ciò che sarà l’attitudine di tutto il film. In pratica, dà allo spettatore la possibilità di prepararsi a ciò che lo aspetta.
Il filo che conduce la storia trova il primo punto di svolta nel primo trasferimento a Firenze, poiché sarà lì che incontrerà un personaggio fondamentale, Antonio Ranieri, che Vogler definirebbe come Mentore del protagonista. Fino all’ultimo accompagnerà il giovane fino alla morte, figurandosi come suo migliore amico e incoraggiatore letterario. La parte centrale scorre più velocemente, come se l’autore avesse invertito lo schema tipico della struttura, dando maggiore spazio alla prima parte; ma è certamente una scelta azzeccata data la dinamicità degli avvenimenti.
La terza parte si sofferma a lungo sul definitivo soggiorno a Napoli che segnerà anche la fine della vita del poeta, ormai conscio delle sue idee, dello sviluppo del suo pensiero che lo porterà a terminare la sua esistenza con l’immagine quasi onirica dell’eruzione del Vesuvio, accompagnata dalla celebre Ginestra che segna il tramontare di un’esistenza intensa e significativa.
Mario Martone, nominato al Leone d’oro, compie magistralmente questa spettacolare impresa e porge tutto se stesso nella strutturazione tecnica dell’opera, ma soprattutto, vi si avvicina sentimentalmente in quanto traspariscono la sua grande vicinanza alla poetica leopardiana e alla terra napoletana descritta alla fine. La sceneggiatura ne guadagna molto sia dal punto di vista del linguaggio, sia dello sviluppo della storia che non si configura assolutamente come una descrizione scolastica della vita di un autore letterario, bensì come una vera e propria poesia, quasi una canzone. La regia prosegue fluida e in stretto legame con il climax che la narrazione raggiunge; ma, è la fotografia che assume grande importanza nella pellicola: un grande lavoro è evidente soprattutto nelle immagini paesaggistiche che ne guadagnano un simbolismo magistrale.
Il regista non vuole tenere una lezione sulla vita di Giacomo Leopardi; vuole illuminarci riguardo il suo pensiero e renderlo contemporaneo al nostro. E ci riesce molto bene. In gran parte grazie all‘interpretazione esaltante di Elio Germano, prova di recitazione che gli regala due premi alla Mostra, ma che segna certamente un punto fondamentale della sua carriera in totale ascesa. L’espressività dell’attore (studiata profondamente da Germano) produce vera poesia e il recitare i versi leopardiani appare quasi come una confessione. Il Leopardi che è messo in mostra viaggia contro gli stereotipi affibbiatigli; non è il pessimista. Tutt’altro. Il desiderio di Infinito è quello che prevale lungo tutta la storia.
Il film si sviluppa come un quadro dove vige l’ideale romantico del bello ideale: le emozioni, i pensieri, le teorie sull’esistenza del poeta sono riassunte in panoramiche di montagne, colline, alberi. I versi accompagnano le scene come ne fossero la colonna sonora quasi in contrasto con la durezza sinfonica della musica di sottofondo, come un’antitesi. E’ un quadro che ha un solo protagonista ma miliardi di comparse: le idee, le teorie che spesso prendono forma umana in altri personaggi, oppure sono espresse da luoghi, oggetti. E’ un’opera dipinta a tre mani, quella di Leopardi, di Martone e dello spettatore; quest’ultimo ha l’occasione di identificarsi nell’esistenzialismo del poeta e trarre le sue conclusioni, come se intraprendesse uno scambio di opinioni con Leopardi stesso.
L’opera audio-visiva che Mario Martone riesce a creare può essere spiegata attraverso una frase che lo stesso Elio Germano ha pronunciato durante un’intervista riguardo il film alla Mostra: “l’immagine che viene data a scuola di Leopardi è figlia dell’esigenza di creare delle definizioni”; il film è l’esatto opposto. Butta via le definizioni, pretende di mostrarci la vita di un uomo che può essere come noi; ma che dedica alle sue teorie tutta una vita, tutta una letteratura, le ipotizza attraverso la recitazione dei versi rivolgendosi direttamente alla Natura che ha creato tutto, bene o male che sia.
Per questa ragione è un’opera da non perdere, una vera e propria poesia.