Regia: Larry Charles
Anno: 2012
L’integralismo, il sessismo, il fondamentalismo religioso, l’ipocrisia occidentale ed i falsi miti new age. Il mondo visto (ancora una volta) con gli occhi smaliziati di Borat.
Il regista, Larry Charles, ha già diretto Sacha Baron Cohen quando interpretava il ruolo del giornalista kazako in Borat – Studio culturale sull’America a beneficio della gloriosa nazione del Kazakistan, nel 2006 e quando recitava la parte del giornalista di moda gay (per giunta austriaco) in Brüno, nel 2009.
E’ consequenziale che dietro alla macchina da presa ci sia ancora lui, ora che Cohen ha deciso di vestire i panni dell’ammiraglio generale Hafez Aladeen, padrone indiscusso dello stato nord africano di Wadiya, irrisione voluta e senza falsi pudori di despoti del calibro di Saddam Hussein (Iraq), Muammar Gheddafi (Libia) e Hosni Mubarak (Egitto), Bin Laden (Afghanistan).
Anzi, il film sembra sia liberamente ispirato al romanzo Zabibah and the King, scritto niente meno che da Saddam Hussein stesso.
Il regista viene dall’esperienza dissacrante ed ironica, ma mai eccessiva, di Religiolus – Vedere per credere (2008), un docufilm intenzionato a smitizzare i dogmi della religione cristiana e le eresie dei creazionisti (quelli che negano l’evoluzionismo darwiniano in favore dell’improbabile versione biblica del cielo e della terra creati in sei giorni).
Sacha Baron Cohen, ha già interpretato (oltre ai personaggi di Borat e Bruno) anche il ruolo di Ali G, un aspirante gangsta-rapper inglese. Tutte sfaccettature che si ritrovano mischiate (sapientemente) ne Il dittatore (“The Dictator”).
Il film finisce per essere irriverente e politicamente scorretto (come tutti i precedenti), ma meno eccessivo e disturbante dei precedenti. Si ride (o meglio si sorride cinicamente) per tutto il film.
Tornano i cliché già visti, con l’aggiunta di stoccate razziste (ce n’è per tutti, dai cinesi agli afro-americani ed agli arabi), riferimenti en passant alla pedofilia, alla zoofilia ed alla prostituzione. Dialoghi ironici e frizzanti sulla tortura e sullo sterminio delle minoranze (lo sterminio dei Curdi ad opera di Hussein da una parte e degli abitanti di Falluja ad opera degli americani dall’altra).
Ritornano, come un omaggio autoreferenziale, le battute antisemite (Cohen viene da una famiglia di ebrei ortodossi) e quelle omofobe.
Il risultato è leggero ed apprezzabile perché ogni cliché (finalmente) è presentato con infantile nonchalance e candida ironia.
Il dittatore è stato presentato dai media come una mostrificazione ridicola di tutti i più noti dittatori africani e mediorientali, ma il colpo di grazia è per le grandi democrazie occidentali.
Le velleità, i vizi e la brutalità dei vari rais sono sullo stesso piano dell’ipocrisia occidentale (e bianca).
Il film demolisce (ma con garbo) l’idea di associazionismo pro esuli e rifugiati, mostra (senza falsi pudori) i limiti della convivenza civile (quella in cui gli stranieri finiscono per essere ghettizzati ed emarginati).
Anche Aladeen sarà sostituito con uno dei suoi sosia e dovrà subire l’ordalia che devono affrontare i principi spodestati, una volta arrivati negli States. Sarà sostenuto dal fedele Nadal e si innamorerà di una comune mortale. Un chiaro omaggio a Il principe cerca moglie (“Coming to America”), diretto da John Landis nel 1988 (quello con Eddie Murphy, principe africano che si ritrova povero a New York).
Cohen, in un passato non proprio remoto ha fatto gridare allo scandalo, perché troppo irriverente.
Il dittatore diretto da Larry Charles ha il dito indice puntato (come molti fondamentalisti islamici, è vero) verso la luna. E’ anche vero che l’indice è quello della mano sinistra, considerata impura dagli islamici (quindi, nient’altro che l’ennesima beffa).
Nel cast, spiccano Ben Kingsley nel ruolo di Tamir il cospiratore, legittimo erede spodestato e vendicativo (che sconta, come una punizione karmica, l’Oscar come migliore attore in Gandhi (Richard Attenborough, 1982); Anna Faris nel ruolo di Zoey, l’attivista svampita, già abbondantemente svampita in Scary Movie e nel sequel (parodie dirette da Keenen Ivory Wayans, nel 2000 e nel 2001); Jason Mantzoukas, nel ruolo di nuclear Nadal, lo scienziato incaricato di costruire una bomba da sganciare su Israele (sì, è un vago riferimento alle minacce dell’Iran di Ahmadinejad) che sosterrà aladeen nella sua avventura statunitense.
Fanno capolino grazie a piccoli cameo anche Megan Fox e Edward Norton (nei panni di se stessi).
Un film godibile, che inizia con la dedica in memoria dell’amato Kim Jong-Il (dittatore nordcoreano deceduto nel 2011).
Must see!