I due soliti idioti

Regia: Enrico Lando
Anno: 2012

Dopo l’enorme successo de I soliti idioti – Il film (2011), ritorna l’affiatato duo comico Biggio/Mandelli. Ritroviamo così le triviali disavventure dello sboccato padre Ruggero De Ceglie, qui alle prese con guai finanziari. Insieme con l’ingenuo e candido figlio Gianluca, prossimo al matrimonio con la fidanzata Fabiana. In cerca di una grossa somma di denaro, per salvare l’”Impero del Wurstel”, l’attività di Ruggero, e braccati da una stramba coppia di killer russi, i due daranno il via a grotteschi ed esilaranti sketch.

Su cosa focalizzarsi per analizzare un film-tormentone-fenomeno culturale come i I due soliti idioti? Scontato e davvero inutile interrogarsi sulla sua dilagante ed esasperata volgarità. Sulla scorrettezza esibita e la licenziosità senza freni che pur ne costituiscono il leitmotiv.

Insensato e anacronistico anche paventare paragoni con la commedia italiana di Dino Risi, nonostante Biggio e Mandelli non siano troppo d’accordo (lo sbandierato riferimento degli autori/attori rimane I mostri, 1963).

Tralasciando anche trama e contenuti, a volte divertenti ma in definitiva davvero poveri, è allora più proficuo concentrarsi su una rivelatoria contraddizione della pellicola.

I due soliti idioti è un film che in pratica non ha nulla di propriamente cinematografico (tecniche, stilemi, dinamiche e sviluppi narrativi). Siamo quasi al grado zero del cinema (inteso come coacervo di mezzi e linguaggi per raccontare una storia).

Ma allo stesso tempo è un (non)film che parla di cinema (ora preso come luogo di fruizione di un contenuto audiovisivo). Commentando, a suo modo, il destino del cinema. Mostrando cosa il cinema, e la sua assimilazione da parte del pubblico (quello più giovane, in particolare), stia diventando (è già diventato? Diventerà?) nel Terzo Millennio.

L’incipit ci conduce nella fittissima processione di un gruppo di truzzi che rombano in strada coi motorini e si accalcano confusamente all’ingresso di un multiplex. Subito dopo, due ragazzi prendono posto in sala. Il film che stanno per visionare è lo stesso che ha scelto il vero spettatore seduto in poltrona: proprio I due soliti idioti.

Il film, pertanto, non solo identifica uno dei target di riferimento (il tamarro goffamente spavaldo e bofonchiante che si aggira per il multisala). Ma lo prende di peso dalla realtà per installarlo concretamente nel testo, all’interno della messinscena filmica.

Così l’immedesimazione non avviene soltanto con i protagonisti della storia (Ruggero e Gianluca). Ma ancor di più con i personaggi che, pur rimanendo all’interno della finzione (i coatti milanesi Patrick e Alexio), osservano e giudicano la storia dall’esterno, come lo spettatore fisicamente presente in quel momento in sala. Patrick/Mandelli registra il film con una micro-camera per caricarne una copia-pirata su YouTube. Alexio/Biggio smette addirittura di seguirlo il film, preferendo  guardarne un altro sul suo cellulare, calamitando subito l’interesse degli spettatori delle file posteriori.

Il cinema come applicazione. Una sorta di app-cinema in cui si scelgono istantaneamente e a piacimento i contenuti da visualizzare, come in uno store digitale. Sul piccolo (ma sempre più grande) schermo di cellulari e tablet.

Si scorrono le dita e si consuma rapidamente il prodotto. In sottofondo, il vero cinema, quello sul grande schermo, rimane un rumore lontano a cui tutti smettono di prestare attenzione.

Oggi dunque, i film si conservano nei bytes delle memorie elettroniche, ma difficilmente rimangono impressi nel cuore e nella testa degli spettatori.

I due ragazzotti, in più, indossano colorati occhialoni da sole kitsch anche durante la proiezione (quasi una presa in giro della visione stereoscopica degli occhialini 3d). Non un ampliamento, un miglioramento prospettico della visione. Quella proposta dai soliti idioti è una visione superficiale e schermata. Distratta e ludica. Mobile e periferica. Molto easy e poco smart, per usare la terminologia user-friendly dei nuovi dispositivi che si apprestano a sostituire il cinema.

Cinema senza trame né sbocchi. Cinema nuovamente muto, non per scelta stilistica (la sequenza con fotogrammi accelerati in bianco e nero e didascalie), ma perché, banalmente, non ha più nulla da dire. Cinema morto e sepolto, come sentenziano i personaggi nel finale del film. “Solo la disco non morirà mai. Su le mani!” proclamano allora gli idioti interpellando direttamente gli spettatori. E partono musica e luci psichedeliche. Tutti ballano e si scatenano in pista. Ecco la discoteca, buia e chiusa come la sala di proiezione, che soppianta definitivamente il cinema.

Tutto ciò non è poco, per un film che per il resto procede blando e ripetitivo, proponendo all’infinito il consueto linguaggio becero e  scurrile e riciclando gag e situazioni tipiche dell’accoppiata Biggio/Mandelli.

Chi li ama, continuerà a sbellicarsi dalle risate. Chi li odia e non sopporta la loro comicità, continuerà ad irritarsi senza capire. Il solito tran tran…

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