Regia: Sacha Gervasi
Anno: 2012
Il vero capolavoro della suspense di Alfred Hitchcock fu la sua vita. È questa l’interpretazione suggerita dal regista Sacha Gervasi – già sceneggiatore di pellicole come The Terminal (Steven Spielberg, 2004) e Henry’s Crime (Malcolm Venville, 2010) – nel suo film Hitchcock, incentrato sulle vicende pubbliche e private del celebre cineasta.
La narrazione prende avvio nel 1959 e si concentra sulla realizzazione del film Psycho, che costituì un punto di svolta nella filmografia del maestro del brivido.
Reduce dal successo di pubblico di Intrigo Internazionale, il regista (Anthony Hopkins) – soprannominato da tutti semplicemente Hitch – si imbatte nel romanzo di Robert Bloch, ispirato ad una vicenda di cronaca nera riguardante un fattore del Wisconsin, reo confesso di duplice omicidio ma sospettato di aver commesso altri atroci delitti, tra i quali anche quello del fratello maggiore. Ed Gein (Michael Wincott), questo il nome del fattore, comparirà lungo tutto l’arco del film in guisa di visione che tormenta il protagonista, a testimonianza di quanto profondamente Hitch fosse stato colpito dalla vicenda e dal romanzo, la cui messa in scena divenne per lui quasi un’ossessione.
Il film racconta di come il regista incontrò diversi ostacoli per la realizzazione del thriller, primo tra tutti il rifiuto della Paramount di produrre un film così raccapricciante, che costrinse Hitch alla decisione di autoprodurlo impiegando i proventi della serie televisiva Alfred Hitchcock Presenta nonché tutti i propri risparmi – la produzione del film costò circa 800,000 dollari – e lasciando alla Paramount solo l’onere della distribuzione. Inoltre, il film dovette affrontare le condizioni imposte dalla censura e lo scetticismo di critici e addetti del mondo del cinema, che consideravano il soggetto troppo forte e più adatto a prodotti di scarsa qualità.
Nonostante le premesse iniziali, il maestro della suspense riuscì a portare avanti il suo progetto impiegando la stessa troupe della serie televisiva Alfred Hitchcock Presenta e radunando un cast di giovani stelle la cui fama sarebbe rimasta per sempre legata a Psycho. Per i ruoli da protagonista furono scelti l’impacciato Anthony Perkins (James D’Arcy), chiacchierato per la sua presunta omosessualità, la dolce Janet Leigh (Scarlett Johansson), consacrata per sempre tra le bionde inarrivabili di Hitchcock e la più defilata Vera Miles (Jessica Biel), degradata al ruolo di comprimaria perché aveva dovuto rinunciare, a causa di una gravidanza, alla parte della protagonista in La donna che visse due volte, causando profonda delusione al maestro, che avrebbe voluto fare di lei una stella di prima grandezza.
Tra la narrazione di eventi realmente accaduti e uno sguardo sulla tecnica e la filosofia cinematografica del maestro Hitchcock, il vero cuore narrativo del film è il rapporto del regista con la moglie Alma (Helen Mirren). Come accade in molti biopic di marca statunitense l’attenzione viene rivolta sul rapporto tra il personaggio e il/la partner e su come i sentimenti privati influiscano in modo determinante sulla figura pubblica – si vedano altre pellicole biografiche come Walk the Line (James Mangold, 2005), sulla relazione tra Johnny Cash e la moglie June, o J. Edgar (Clint Eastwood, 2011), dove la descrizione del rapporto tra Hoover e il suo compagno di lavoro (e di vita) risulta così centrale all’interno della storia.
Anche in Hitchcock dunque il rapporto con la moglie e i sentimenti privati risultano decisivi per descrivere il percorso artistico di un genio della cinematografia. La relazione con la moglie Alma non è fondata solo sull’amore, ma su una reciproca stima professionale, su un sodalizio artistico che si confonde con la quotidianità. Dal film si comprende come il contributo di Alma a Psycho (e ad altri film) fu determinante non solo perché vi lavorò come montatrice e co-sceneggiatrice, ma perché fornì il suo incondizionato appoggio al marito sia dal punto di vista economico sia affettivo.
Il vero punto di forza del film risiede nel tentare di raccontare la storia proprio come se fossimo in un film di Hitchcock, in cui vi è un protagonista alle prese con i propri demoni interiori, i dubbi sull’infedeltà della moglie e le proprie ossessioni (per le sue attrici-muse, per i dettagli stilistici). Del resto è la stessa Vera Miles a descrivere il regista come molto somigliante, nella vita privata, al protagonista de La donna che visse due volte impersonato da James Stewart, un personaggio ossessivo e tormentato.
Inoltre, come in molte pellicole di Hitch, non manca una buona dose di ironia, utilizzata soprattutto per raccontare le piccole manie del regista: la sua passione per cibo e alcol, il vezzo di spiare le reazioni del pubblico in sala, gli scherzi sul set.
L’interpretazione di Anthony Hopkins (Il Silenzio degli Innocenti, 1991; Quel che resta del giorno, 1993) è sorprendente e riesce a non rendere caricaturale un personaggio che amava molto giocare con la sua figura e che ha impresso un imperituro ricordo di sé nell’immaginario collettivo, passando da geniale realizzatore cinematografico a vera e propria icona del genere della suspense.