Autore: Bryan Fuller, basato sui personaggi del romanzo Red Dragon di Thomas Harris
Anno: 2013 – Stagione 1, 13 episodi (Nbc, Italia 1)
L’agente FBI Jack Crawford recluta il prodigioso profiler Will Graham per risolvere alcuni brutali omicidi. L’uomo è in grado come nessun altro di empatizzare con le menti criminali, ricostruendo in prima persona pensieri e mosse dei serial killer. Talento prezioso quanto pericoloso per il fragile equilibrio di Graham, posto sotto la tutela di un carismatico psichiatra: il dottor Hannibal Lecter…
Aggiungi un mostro a tavola, che al ricco banchetto dei serial americani c’è un amico (?) in più. La stessa cosa fa questo inamidato Hannibal Lecter, imponenza e austerità scandinave, viso angoloso e tagliente del danese Mads Mikkelsen (protagonista de Il Sospetto, “Jagten”, Thomas Vinterberg, 2012), invitando in continuazione i suoi ospiti per cena.
Deliziati con rare prelibatezze esotiche dal nome sconosciuto e di remota provenienza. Insaporite da contorni cotti o “al sangue” di cui è facile immaginare le origini, se abbiamo conosciuto il dottor Lecter di Anthony Hopkins, palato fine e barbaro appetito che mischiava fegato umano e Chianti alle colte citazioni letterarie (killer cannibale per eccellenza in Il silenzio degli innocenti, “The Silence of the Lambs”, 1991, di Jonathan Demme, Hannibal, 2001, di Ridley Scott e Red Dragon, 2002, di Brett Ratner).
Questo nuovo Hannibal non attira però i convitati per sbranarli selvaggiamente. Privo degli irrefrenabili accessi famelici di un vampiro antropofago qualsiasi di fronte al pasciuto collo della preda. Al contrario, mantiene costantemente l’aplomb di elegante gentiluomo, con autocontrollo ferreo e impassibile.
Tutto è appena accennato, sinistramente suggerito, accuratamente nascosto eppure lampante (il modus operandi di Hannibal), in una messa in scena di tasselli confusi e contradditori (“Gli occhi distraggono, si vede troppo, si vede troppo poco”, per dirla con le parole di Will Graham).
Serviti allo spettatore con moderazione, a piccole porzioni, come un succoso antipasto che già sprigiona un retrogusto amaro, ma ancora nulla fa intuire sulla natura e l’esito dell’intero convìto (leggi: stagione televisiva).
La metafora culinaria è allora utile per analizzare il serial, che non a caso titola ogni puntata con un riferimento al contesto alimentare (Apéritif, Aperitivo, Amuse-Bouche, Assaggino, Potage, Vellutata, Oeuf, Uova per i primi quattro episodi, e via dicendo). Preparando un menù che procede in climax fino a un finale di stagione decisamente piccante (Relevés, Ep. 12) e saporito (Savourex, Ep. 13).
In cui la “portata principale” di ogni episodio, sempre in bilico tra violento realismo e onirismo schizofrenico, è un’orripilante scena del crimine tipica di un police procedural, da cui prendono il via le indagini e si incrociano identità, strategie e conflitti di Crawford (un Laurence Fishburne capo delle operazioni prelevato direttamente dall’ultimo C.S.I., 2009-2011), del tormentato Will Graham (un Hugh Dancy un pò troppo piagnone imbronciato), sempre più vittima di incubi e macabre allucinazioni, e naturalmente del magnetico Hannibal Lecter, vero deus ex machina di tutta la narrazione.
A fare da contorno, le estenuanti sedute psichiatriche del problematico Graham nello studio del dottor Lecter, in perfetto stile In treatment (2008-2010). In una partita a scacchi tra menti brillanti e complesse, forse entrambe al di là del bene e del male, in cui non è mai chiaro chi scoprirà per primo le carte e chi, inaspettatamente, avrà un asso nella manica da giocare. Hannibal stesso, scopriremo, è in terapia ufficiosa da una comprensiva psicologa-confidente interpretata da Gillian Anderson (l’ex agente Scully di X-Files).
Altri ingredienti cuci(na)ti assieme sono i corpi ammuffiti, mutilati e decomposti (carcasse umane che diventano incubatrici di funghi e spore, costole strappate e appese a mimare le ali di un angelo, piramidi umane di ossa e cadaveri, ecc..) che sembrano provenire dal reparto analisi di Bones (2005-in corso).
E quella capacità innata, istintiva, quasi soprannaturale di Will Graham di vedere attraverso gli occhi dell’assassino che pare un’estensione del talento per i dettagli del Patrick Jane di The Mentalist (2008-in corso). Oppure è una specie di novello shining, una luccicanza per (re)immergere se stessi nei bagni di sangue più truculenti, più e più volte, fino ad impazzire?
Chissà se l’autore aveva davvero in mente alcune scene del film kubrickiano, quando pone una decisiva conversazione tra Jack e Will in un bagno dipinto di orinatoi rossi (Ep. 1). O quando ancora Will scopre un cadavere dentro una vasca, al fondo di una stanza con pareti verdognole, con il pulsare di un batticuore in sottofondo (Ep. 7, Sorbetto).
Hannibal è una serie dalla personalità multipla, scissa e profondamente disturbata. Persa in una complessa rete di impulsi malati, (s)connessioni e “salti” cerebrali e temporali, fra dissezioni anatomiche e dissociazioni psicologiche.
Mentre scatta un’associazione naturale nelle sequenze che vedono le indagini sui corpi martoriati sul luogo del delitto, inframezzate in montaggio alternato con le immagini dello chef Hannibal in camicia e grembiule, intento a sminuzzare e cuocere proprio gli organi estratti da quei corpi, tranquillamente al sicuro nel suo appartamento.
Il rimando implicito è a Il silenzio degli innocenti, dove proprio il procedimento stilistico del montaggio alternato seminava una falsa pista, creando un magistrale meccanismo di tensione tra le immagini del killer all’opera in un buio scantinato, apparentemente braccato, e la criminologa intenta a penetrare in casa per arrestarlo (solo in ultimo si scopre non essere quello il rifugio dell’assassino). Una messinscena al servizio dell’inganno, proprio come quella costruita da Hannibal (la ragazza uccisa e impalata sulle corna di un’alce), che scompiglia le carte confondendo gli indizi ad agenti e spettatori.
La sviluppo orizzontale delle trame è generalmente gestito bene. Talvolta un po’ incerto, potrebbe scoraggiare un pubblico più impaziente che punta ad azione frenetica, orrori e cannibalismo splatter di grana grossa.
Hannibal è una serie di ampio respiro e profondo spessore narrativo, che si prende tutto il tempo necessario a delineare caratteri e psicologie, per poi incedere, lento ma inesorabile, verso i momenti più drammatici e schockanti.
Un piatto ricercato ed invitante, questo Hannibal. Ma attenzione a quello che potreste trovarci dentro. In ogni caso, se decideste di favorire, come augura il dottor Lecter ai suoi commensali, “Bon appétit!”