Regia: Steven Soderbergh
Anno: 2013
Emily Taylor vuole una nuova vita, messi alle spalle una forte depressione e i guai finanziari del marito, appena uscito di prigione. Vittima di una ricaduta, tenta il suicidio. In cura dallo stimato psichiatra Jonathan Banks, assume un farmaco sperimentale inizialmente portentoso. Finché una notte, sola in casa, trova riverso a terra il cadavere insanguinato del compagno: gli indizi portano a lei, che non ricorda nulla di quanto avvenuto. Sarà l’inizio di un incubo per Emily e Banks, in un’oscura trama di colpe e inganni dove niente è ciò che sembra.
L’ultimo film di Steven Soderbergh (si parla di uscite in sala, visto che il lavoro più recente, Behind the Candelabra, 2013, biopic sul pianista Liberace, verrà rilasciato solo in Tv) potrebbe davvero essere l’ultimo a tutti gli effetti (in più occasioni il regista di Atlanta, spazientito dalle ingerenze dei finanziatori, ha ribadito la volontà di abbandonare il cinema, ma stavolta sembra fare sul serio).
Curiosamente allora, senza forzare troppo i cardini di un profilo autoriale così eclettico e diversificato, Effetti Collaterali (“Side Effects”) invita per alcuni aspetti ad intraprendere un percorso a ritroso nella filmografia di Soderbergh. Risalendo fino alla sua opera prima, quel fulminante esordio che fu Sesso, bugie e videotape, “Sex, lies and videotape”, 1989 (premiato con la Palma d’oro a Cannes).
Per notare come un tema lì presente (lo statuto e l’irruzione del mezzo audiovisivo nella crisi dei complicati rapporti umani) ritorni, seppur in sordina, nel nuovo film (quasi che il regista cerchi un’ideale chiusura del cerchio in vista del congedo). Con esiti tuttavia ribaltati.
Prendiamo la riflessione sull’ambiguo ruolo dell’immagine filmica nella sequenza in cui lo psichiatra (un enigmatico Jude Law, in bilico tra luci e ombre), per scoprire la verità sulla paziente, riprende con una videocamera digitale le confessioni di Emily (Rooney Mara).
In un diverso contesto, il disadattato protagonista di Sesso, bugie e videotape faceva la stessa cosa. Registrando e rivedendo su videocassetta intime e inconfessabili rivelazioni di traumi, fantasie ed esperienze sessuali delle donne incontrate.
Le “sessioni in video” come strumento principe per sviscerare voglie, sentimenti e desideri repressi nella grigia quotidianità della provincia. L’immagine come veicolo per la catarsi liberatoria di un inconscio traboccante di istinti latenti.
In Effetti Collaterali avviene il contrario. Anche lo psicologo filma la ragazza. Tentando di far emergere segreti sotterrati in fondo alla coscienza, per chiarire il mistero dell’omicidio.
Ma scopre (significativamente, proprio nel momento in cui cattura i suoi gesti in video) come dietro la posa depressa e sofferente di Emily non ci sia alcuna ferita da portare alla luce. Ma solo una finzione da smascherare.
L’immagine non rileva una verità nascosta, ma certifica la messa in scena di un inganno. Non svela l’autentico, ma amplifica una doppia simulazione (medica e cinematografica), rafforzando l’artificiosità della recitazione.
Ed è questo a insospettire Banks. Ma nessuno vuole guardare quelle immagini (la procura gli impone di distruggere il video). Nessuno si fida di ciò che (non) vede.
La vista è d’altronde un senso fallace. L’occhio inevitabilmente nudo, il vero nervo scoperto. Ingannatore perfino nelle sue secrezioni. Quelle lacrime di gioia e dolore che, come spiega Emily, hanno composizione chimica diversa ma che, a prima s(vista), sembrano le stesse.
Se la depressione è l’incapacità di “vedere il futuro”, la (presunta) normalità appare come incapacità di vedere tout court. Di (ri)conoscere le immagini che stanno sotto i nostri occhi (come la moglie di Banks, che fraintende le fotografie ricattatorie ricevute dal marito).
Anche l’immagine mediale è costantemente sotto accusa in Soderbergh (si pensi al ruolo infido dell’informazione giornalistica di web e Tv in Contagion, 2011). In questo caso, la propaganda pubblicitaria delle grandi multinazionali farmaceutiche.
Con gli spot delle pillole antidepressive che fanno da effetto placebo rinforzante. Mostrando la sicura promessa di una cura per infelicità e schizofrenie dell’animo che, lo dice Banks, sono invece “invisibili, come le bugie”.
Per questo, incarnabili in una rappresentazione esteriore, fino ad apparire spontaneamente vere. Come fa Emily, corpo (auto)manipolato che impersona l’immagine di un corpo (non era anche il tema di Magic Mike?, 2012), disfunzionale e malato. I sintomi sono deliberatamente voluti e (ri)prodotti. Results may vary.
Con Effetti Collaterali Soderbergh, dopo la decostruzione dell’action movie spionistico (Knockout – Resa dei conti, “Haywire“, 2011), ha tentato di smontare e riscrivere il thriller psicologico. Nei toni raggelati di un ossessivo ma lucido dramma da camera. Il risultato è solo parzialmente riuscito.
Il regista inizia il compito avvincendo, ma lo svolgimento si banalizza progressivamente. Alcuni nodi decisivi sono sciolti frettolosamente con triti cliché. Senza quelle sperimentazioni visive e scelte narrative originali che hanno animato tanti lavori di Soderbergh.
Se davvero si tratta del suo ultimo cine-prodotto, restiamo un pò con l’amaro in bocca.