Regia: Daniele Vicari
Anno: 2012
I fatti del G8 di Genova del 2001, della scuola Diaz e della caserma di Bolzaneto. Tutto sangue impossibile da pulire.
La locandina recita: “La più grave sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dopo la Seconda Guerra Mondiale“.
E’ ciò che pensa Amnesty International della barbarie italiana di quei giorni.
Dal 2001 ad oggi si sono susseguite numerose ricostruzioni dei fatti del G8 di Genova, ipotesi senza senso, false piste, bugie penose, muri di gomma, insabbiamenti.
Ordalia obbligatoria in Italia, tutte le volte che si verifica qualcosa di terribile ed inaccettabile.
Tanto più il fatto è grave tanto meno sembra che giustizia sarà fatta. Forse è per questo che privati cittadini e giornalisti di ogni nazionalità hanno ritenuto opportuno documentare tutto.
Testimonianze, filmati e ricostruzioni dell’impensabile verificatosi a Genova, pochi mesi prima dell’11 settembre, degli aerei che si schiantano contro le Twin Towers e della loro polvere, caduta ad offuscare qualsiasi altro avvenimento funesto (G8 di Genova, incluso).
Nel 2001, ho assistito al delirio attraverso la tv: giornalisti pestati a sangue, anziani feriti, ragazzi inseguiti, bastonati, torturati.
L’immagine che mi resterà sempre impressa è quella delle mani alzate, in fila. Un muro da una parte, un cordone di celerini armati di tonfa dall’altra.
La sospensione della democrazia è anche questa: perdere il diritto (anche solo) di chiedere un mondo diverso (se non proprio migliore).
Alcune menti deviate dello Stato hanno colto l’occasione per insegnare alla popolazione (di giovani, soprattutto) cosa aspettarsi ad ogni manifestazione.
E’ la strategia di piazza delle botte e dei morti, del linguaggio feroce privilegiato nella comunicazione fra istituzioni e contestatori.
E sembra roba d’altri tempi. Delle contestazioni degli anni ’70 del piombo e delle stragi di Stato.
Il nostro tempo è quello raccontato da documentari come Black Block (Carlo A. Bachschmidt, 2011) o Bella ciao (Marco Giusti e Roberto Torelli, 2001), dalle ricostruzione di Lucarelli o da quella di La storia siamo noi, intitolata G8 di Genova. Il vertice maledetto.
In Italia, la memoria delle ingiustizie non ingrigisce mai. Tant’è che nel 2012, alle decine di ricostruzioni dei fatti di Genova, si è aggiunta anche quella di Vicari, sempre basata sulle testimonianze di chi ha vissuto sulla propria pelle la violenza delle forze dell’ordine e sui resoconti dei processi.
Diaz – Don’t clean up this blood vive del ricordo di Michelangelo Fournier, capo del VII nucleo sperimentale del I reparto mobile di Roma; di quello del giornalista interpretato da Elio Germano (Luca Gualtieri, della fittizia Gazzetta di Bologna, definita giornale di destra) che è Lorenzo Guadagnucci del Resto del Carlino e di quello di Mark Covell, giornalista di Indymedia UK, pestato di fronte ai cancelli della Diaz e lasciato ad agonizzare per strada.
Il cast, oltre a questi personaggi eccellenti (le voci della memoria), sembra popolato da comparse, che aleggiano, ballano, camminano, senza peso (a volte senza significato). Appaiono e scompaiono dalla scena, quasi fossero finite sul set sbagliato.
Nel film non è viva la potenza degli scontri e del corpo manifestante (immenso agglomerato di menti e di cuori, d’ogni età).
Nemmeno quando si vedono spuntare i black block che danneggiano (senza riprodurre l’entità della devastazione), si nascondono nella Diaz per poi ripartire per i paesi d’origine (quindi c’erano davvero anche loro in quella scuola?).
S’intravedono politici e probabili burattinai, celerini troppo buoni (e normali) da una parte, troppo istrionicamente cattivi dall’altra (ma poco credibili in entrambi i casi).
Al centro, il sangue e le sevizie della Diaz. Le torture e le umiliazioni di Bolzaneto.
Sembra un film horror, una finzione (anche se so che la ricostruzione di Vicari è fedele alle testimonianze di chi ha vissuto quell’esperienza).
Il regista voleva proporre una chiave di lettura ulteriore, offrire uno sguardo d’insieme ed allo stesso tempo frazionato. L’insensata violenza unilaterale, vista da occhi diversi, percepita da sensibilità diverse. Strade che convergono, prima a Genova, poi verso l’abisso.
Il risultato, però, è un film per chi ha già una cultura sul G8 di Genova. Manca il senso di spaesamento e di incredulità che avvolgevano quei giorni; mancano l’angoscia, il panico e la paura che hanno spinto molti ad abbandonare le manifestazioni di piazza frettolosamente. Sono tutti sentimenti che accarezzano la pellicola, ma non la impregnano.
La visione corale, nel complesso, è stonata.
Il film non annoia, ma non stupisce neanche.