Regia: Derek Cianfrance
Anno: 2012
Prendete la provincia americana. Quella brutta però. Quella che non profuma di torta messa a raffreddare sul davanzale per intenderci. Quella che si trova a distanza siderale dalla Grande Mela (pur essendoci attaccata), dalle luci e da quell’idea di America che, bene o male, abbiamo tutti nella mente. Quella provincia popolata da persone che ignorano l’esistenza di qualcosa che vada al di la del posto in cui si vive, ci si riproduce e muoiono. Insomma quell’America vera che difficilmente si vede nei film.
Prendete una cinquantina di tatuaggi con un ragazzo tra gli spazi vuoti tra di essi (Ryan Gosling, Drive di N. W. Refn, 2011) e guardatelo mentre si esibisce in quello che sa fare meglio. Lo stuntman motociclista nelle fiere itineranti. Dove i cibi sono rigorosamente alla brace, dove ancora si trovano i baracconi del tiro a segno e la ruota panoramica, che di li ad una settimana, si ritroverà in un’altra cittadina.
Fate poi scoprire ai tatuaggi col ragazzo intorno che è diventato padre. Che la ragazza con cui era stato tempo prima durante uno dei suoi spettacoli (Eva Mendes, I Padroni della Notte di J. Gray, 2007), e che ritrova oggi a fare la cameriera, è la madre di un figlio inaspettato.
Fate prendere coscienza al ragazzo che un figlio non può crescere, come lui, senza un padre. Che per sostenere la neo famiglia non basta fare il meccanico ma occorre fare soldi. Tanti ed in fretta. Rapinare banche in moto la soluzione più ovvia e appetibile.
Fate credere per un po’ al ragazzo che sia inafferrabile ed ergetegli di fronte, non troppo all’improvviso, un muro contro il quale si schianterà come un tuono dopo aver corso come un fulmine.
Il muro in questione è rappresentato da un poliziotto (Bradley Cooper, Limitless, di N. Burger, 2011) che non sa bene neanche lui cosa ci faccia in polizia, divorato dall’ambizione, fresco padre anch’esso, schiacciato dalla figura paterna e che, con la sua scelta, marcherà in maniera indelebile – quasi l’ennesimo tatuaggio – la vita sua e quella del ragazzo.
Fate, infine, incontrare a distanza di anni i figli dei protagonisti sui quali, come nella migliore tradizione – quasi fosse un’equazione fin troppo perfetta – le colpe dei genitori ricadono inevitabilmente. Fate chiudere il cerchio delle vite. Dedicate qualche secondo a riflettere su quello che avete appena visto. Traete le vostre conclusioni e avrete: Come un Tuono – The Place Beyond the Pines, dramma di provincia in salsa barbecue firmato Derek Cianfrance.
Il regista (classe 1974) si era già fatto notare al Sundance Film Festival 2010 con lo struggente Blue Valentine nel quale aveva incorniciato le miserabili vite di Dean (Ryan Gosling) e Cindy (Michelle Williams, I Segreti di Brokeback Mountain, di Ang Lee, 2005). Film che gli valse numerosi premi e, alla Williams, la candidatura all’Oscar 2011 come migliore attrice.
Cianfrance torna oggi nelle sale con un film dalle meccaniche complesse, con un impianto narrativo altrettanto articolato rimanendo, tuttavia, vincolato ad un modus filmandi in tutto e per tutto simile al suo precedente lavoro.
Ma se con Blue Valentine il regista ha stupito per la forza della storia e per l’impatto visivo dei flashback che ne caratterizzano la pellicola – l’associazione con la cinematografia sublime di A.G. Inarritu (21 grammi, 2003) è palese – in Come un Tuono la magia pare non riuscire così bene. Il film dà l’impressione di non essere così omogeneo, sembrando, invece, composto da tre atti che, pur se legati tra loro dalla trama, potrebbero apparire come tre storie indipendenti.
Tuttavia, questo dramma generazionale in salsa BBQ è un piatto lungi dall’essere indigesto.
Gli ingredienti sono di prima qualità e la storia percorre rodati binari sui quali, da un lato, l’antieroe (bello, maledetto, taciturno e spericolato) si muove conquistando il favore del pubblico pur consapevole degli errori da lui commessi e, dall’altro, il buono, l’eroe (ci vuole del coraggio a chiamarlo così) che fa di tutto per risultare odioso e quanto di più lontano dalla rettitudine ci possa essere. Il risultato è una pietanza gradevole ma dalle numerose contraddizioni.
Visivamente appare come la raffinata creazione di uno chef meticoloso ma in realtà è fatta con gli scarti (umani, sociali, familiari, etici e morali). La trama, che dovrebbe profumare di semplicità invece travolge e sconvolge protagonisti e spettatori per complessità. Al palato, a titoli di coda iniziati, risulta difficile distinguere la reale consistenza degli ingredienti che, anche se amalgamati con dovizia, un po’ confondono il pubblico su quanto appena visto.
Cast e colonna sonora, presi in parti uguali, sono il tocco da maestro di Cianfrance. Oltre a Gosling (Luke), che purtroppo sembra ormai intrappolato nel personaggio di Drive, Cooper (Avery) e Mendes (Romina) troviamo, infatti, Rose Byrne (In Viaggio con una Rockstar di N. Stoller, 2010) nel ruolo di Jennifer, Ray Liotta (Quei Bravi Ragazzi, di M. Scorsese, 1990) in quello di Deluca, e Dane DeHaan (apparso nel recente Lincoln di S. Spielberg, 2012) nella parte di Jason.
La colonna sonora, invece, è stata affidata al musicista Mike Patton che, oltre a destreggiarsi egregiamente sul palco come cantante dei Faith No More, si è rivelato anche ottimo compositore firmando, tra l’altro, la colonna sonora de La Solitudine dei Numeri Primi di S. Costanzo nel 2010.
A conti fatti Come un Tuono è un film che, sapendo da chi è stato diretto, non delude le aspettative. Sicuramente ben realizzato e di fortissimo impatto visivo ed emozionale. Coinvolge e prende lo spettatore senza doverlo shockare troppo. Ci si dimentica presto di quella strana consistenza di cui è fatto, offrendo al pubblico, invece, uno spettacolo piacevole e dal gusto deciso.
E, cosa mica da trascurare, non serve il bicarbonato per digerirlo.