Code Name: Geronimo

Regia: John Stockwell
Anno:
2012

For God and Country – Geronimo, Geronimo, Geronimo“.
Sono le parole trasmesse dal Navy SEAL che uccise l’uomo più ricercato del pianeta: Osama Bin Laden.

Regista di pellicole come Blue Crush (2002) e Trappola in fondo al mare (2005), John Stockwell intraprende questa volta una missione (è il caso di dirlo) leggermente più impegnativa. A distanza di undici anni dall’attentato alle Twin Towers, il cinema statunitense decide di raccontare i passaggi che hanno portato all’audace raid notturno sul nascondiglio del terrorista che ne fu il mandante.

Code Name: Geronimo, all’origine intitolato SEAL Team 6: The Raid on Osama Bin Laden, è solo il primo dei due lungometraggi ad affrontare il tema problematico di Bin Laden, programmato su National Geographic Channel negli USA ma proiettato nelle sale cinematografiche in Italia. Il secondo, diretto dalla regista Kathryn Bigelow (Point Break, 1991) ed intitolato Zero Dark Thirty, uscirà nei cinema statunitensi il 19 dicembre 2012.

La guerra medio-orientale, i terroristi di Al Qaeda e le truppe occidentali rimangono argomenti pesanti e difficilmente gestibili dal punto di vista dell’imparzialità. Proprio per questo uno strascico di polemiche politiche ha seguito la realizzazione di entrambi i film, accomunati dal medesimo tema.

Quella che l’attore-regista Stockwell (Bill Cougar Cortell in Top Gun, Tony Scott, 1986) tenta di ricostruire, all’interno del suo ultimo lavoro, è una vera e propria caccia all’uomo.
A dieci anni dal dramma del World Trade Center e grazie alle informazioni estorte ad alcuni prigionieri, la CIA scopre che il nascondiglio del cosiddetto sceicco del terrore si trova ad Abottabad, città non molto distante da Islamabad, in Pakistan.

Dopo aver tenuto sotto controllo il complesso per circa otto mesi, e nonostante le possibili conseguenze di un attacco a sorpresa sul suolo pakistano, il Pentagono ordina ai membri del SEAL Team 6 (forze speciali della U.S. Navy) di entrare in azione. Il Presidente e gli alti ufficiali USA seguono la missione collegati via satellite alle telecamere che i soldati portano sugli elmetti, fino all’esito dell’operazione denominata Geronimo, da noi tutti conosciuto.

Certo, l’appellativo scelto per la missione (quello del leggendario capo degli Apache che si oppose per lungo tempo all’espansione occidentale degli Stati Uniti) non è di grande aiuto alla causa degli americani. Geronimo, infatti, aveva tutto il diritto di guerreggiare contro gli invasori. Per questo apostrofare Bin Laden con tale nome denota prima di tutto una certa arroganza, ed in secondo luogo rischia di riabilitare paradossalmente la figura del leader di Al Qaeda.
Ma tralasciamo la questione dei nomi.

Il ritmo della pellicola è reso discreto dall’alternarsi della prospettiva che passa dall’intelligence al braccio armato, dunque anche dall’avvicendarsi di situazioni differenti: l’addestramento, l’amministrazione di una Nazione in guerra, ma soprattutto le relazioni personali di uomini e donne legati da uno stesso fine. Ed è proprio sulla descrizione del lato umano dei protagonisti che si vuol gettare uno sguardo: il loro punto di vista, i loro dubbi, le loro paure e le tensioni che nascono vanno a costituire la struttura emotiva su cui tende a posarsi l’intero film.

Uno spessore psicologico che Code Name: Geronimo sembra ereditare dal pluripremiato The Hurt Locker (Kathryn Bigelow, 2009), bilanciando però tale carattere introspettivo con elementi spettacolari che richiamano il più recente lungometraggio Act of Valor (Mike McCoy e Scott Waugh, 2012). E’ comunque a quest’ultimo che si rifà maggiormente, i canoni seguiti per la realizzazione appaiono molto vicini fra loro, complice anche il fatto che i protagonisti, in entrambi i casi, sono dei Navy SEALs.

Protagonisti che però non convincono. Cam Gigandet (Never Back Down, Jeff Wadlow, 2008; Twilight, Catherine Hardwicke, 2008) nei panni di Stunner, leader del gruppo, ed il rapper Xzibit (8 Mile, Curtis Hanson, 2002) nei panni di Mule, soldato dal grande cuore, sono solamente alcuni degli attori a cui sono stati assegnati ruoli poco credibili. Senza contare Eddie Kaye Thomas, Paul Finch in American Pie (Paul Weitz, 1999), alquanto singolare nell’interpretare un funzionario della CIA che non china la testa di fronte a nessuno.

La fotografia non spicca, tecnicamente non elevata, soprattutto se abituati a lavori attenti e precisi presenti in pellicole come il già citato The Hurt Locker o Jarhead (Sam Mendes, 2005). E l’obiettività non è di casa, si lascia ben poco alla visione equilibrata degli avvenimenti, separando nettamente i buoni dai cattivi.

Stockwell, nel complesso, sembra comunque realizzare un buon prodotto action-thriller, supportato da una sceneggiatura ben ordinata e ricca di colpi di scena in grado di canalizzare, attraverso il più elementare intrattenimento, l’attenzione degli spettatori su uno dei capitoli più cupi della nostra storia.

Anche se le vicende personali dei protagonisti appaiono qua e là nella trama, Code Name: Geronimo rimane soprattutto un documentario tendente alla fiction, un’eccellente serie-tv capace di coinvolgere qualsiasi fascia di pubblico, ma non paragonabile ad un vero e proprio film.
Non a caso, negli USA, ha scavalcato senza esitazione le sale cinematografiche, andando in onda direttamente sul piccolo schermo: saggia decisione.

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