Regia: Riccardo Milani
Anno: 2013
…Quando persino la finzione parodica riesce a essere meno fantasiosa del suo speculum originale: l’Italia d’oggi! Una brillante commedia che denuncia con scanzonato disincanto.
Un registro stilistico intriso di brio e levità, scene legate dall’amara ironia quasi calviniana, buoni sentimenti e scottante attualità politica: questi gli ingredienti che si amalgamano nella riuscita commedia di Riccardo Milani Benvenuto Presidente.
Una fiaba dai connotati concreti, un racconto ilare e crudele nel contempo, una trama che, seppur scandita come una delicata filastrocca, custodisce l’intensità sentenziosa della morale esopica.
“Mi piaceva l’idea di poter lavorare insieme a Claudio Bisio su una vicenda che raccontasse l’Italia di questo particolare momento storico senza “cavalcare” l’onda dell’antipolitica”. Queste le parole del regista durante la conferenza stampa svoltasi, dopo l’anteprima nazionale del film, presso i locali del cinema Adriano di Roma.
Una pellicola che, sulla falsariga di Monicelli e Moretti, tenta di gettare lo sguardo sul nostro Paese camuffandone la realtà, ma non la verità. Il dilettevole vezzo a cui s’abbandona lo spettatore incuriosito è quello di rintracciare, nell’ordito, elementi che riconducano inequivocabilmente al sistema governativo odierno focalizzandone le macroscopiche affinità.
Giuseppe Garibaldi, detto Peppino (Claudio Bisio), è un individuo semplice e di ottimi principi. Un personaggio verghiano, umile bibliotecario e instancabile pescatore. Licenziato, per mancanza di fondi, riceve uno strabiliante regalo: la presidenza della repubblica!
L’humus statale è seminato dall’inguaribile potenza disgregante della classe dirigente che, incapace di accordarsi su un nominativo univoco elegge, a mo’ di scherno, come capo della democrazia italiana, un fantomatico Giuseppe Garibaldi. Quattro gli individui recanti quel titolo, uno quello papabile.
Prelevato dal locus bucolico nel quale si dipana la sua esistenza Peppino, inaspettatamente, viene catapultato nel sontuoso fasto del Quirinale. Un singolare rapporto dagli accenti ora teneri, ora inquieti lega il neopresidente a Janis (Kasia Smutiniak), Vice Segretario incaricato d’incanalare il fortunato reggente nelle strettoie melense del protocollo. L’innamoramento diviene quasi l’happy hand da cui è difficile, se non impossibile, sfuggire.
La genuina purezza scevra di orpelli sovrastrutturali, l’intima coerenza estranea da qualsiasi compromesso, il rigore atavico di chi non cede all’appetibile voragine del denaro riescono a rendere il breve esperimento presidenziale un incommensurabile successo.
Un membro del popolo che guida il popolo! Un padron ‘Ntoni del terzo millennio, appassionato di amene letture, che scardina i maligni intrighi e i venali connubi diplomatici.
Il film ha il pregio d’indagare i moventi strutturali della società odierna e il difetto di scadere in clichés che, talvolta, disattendono le aspettative del pubblico. Il politico corrotto, la gente comune vessata e pia, il rigore caratteriale di Janis che nasconde il suo trascorso adolescenziale da hippy, l’ideale eroico e incorrotto del protagonista/pescatore creano, quasi, una monolitica tipologia umana che rammenta il teatro plautino prima, di Molière poi.
Il politico con pizzetto (Giuseppe Fiorello), il politico bello (Cesare Bocci), il politico ruspante (Massimo Popolizio) e la madre di Janis (Piera Degli Esposti), inesausta consumatrice di marijuana, impreziosiscono, complicano e completano il lineare e, forse, scontato racconto portante.
Una pièce cinematografica che sancisce definitivamente la debacle tra il cittadino e chi lo governa, sulla scia di un sentimento in auge di questi tempi! Chiari i riferimenti ai policromi partiti che colorano la tela della nostra nazione e, del resto, lapalissiana riesce la citazione al nuovo movimento cinque stelle grillino.
Bisio si muove con destrezza e agilità nel personaggio naif di Peppino, affinando le innate doti da commediante mostrate in Benvenuti al sud (Luca Miniero, 2010) e Benvenuti al nord (Luca Miniero, 2012).
Il lungometraggio affronta con alacre mordacità e inesausta denuncia l’incredibile vicenda costruita intorno a un’importantissima carica istituzionale, sull’onda di Habemus Papam (Nanni Moretti, 2011), storia dai risvolti parossistici centrata sulla più grave dignità spirituale. La freddura finale sull’elezione del papa, nell’opera di Milani ne decreta, del resto, la liaison incontestabile.
Un testo che specchia il narcisistico e irresistibile volto italiano. Quando la finzione diviene, purtroppo, realtà!
Da vedere perché, forse, riderci su è meglio!