Regia: David O. Russell
Anno: 2013
A poca distanza da Il lato positivo, David O. Russell torna con un comedy-drama ambientato negli anni ’70, una storia di truffa e corruzione, che è quasi una parabola di un’epoca e di una certa America.
Lo fa con il solito stile a cui ci ha abituati negli ultimi tempi e utilizzando gli stessi attori dei suoi ultimi film, da Christian Bale e Amy Adams, protagonisti di The fighter (2010), a Bradley Cooper e Jennifer Lawrence, affiatata coppia ballerina de Il lato positivo (Silver linings playbook, 2012). Ma con American Hustle O. Russell ha voluto alzare la posta e puntare su una storia che andasse aldilà delle vicende personali del singolo e dei famigliari, rappresentando un certo tipo di umanità, quella che per sopravvivere tira avanti con l’inganno, la falsità, gli espedienti.
Siamo a New York verso la fine degli anni Settanta e Irving Rosenfeld (Christian Bale), fin da piccolo abituato all’arte di arrangiarsi, gestisce un giro di falsi d’autore, ma soprattutto si guadagna da vivere facendo il finto prestasoldi a scapito di poveri disperati che deruba. Quando a lui si unisce la sensuale Sydney Prosser (Amy Adams), gli affari cominciano ad andare a gonfie vele, complice anche la passione che esplode tra i due, fino a quando non vengono smascherati dall’agente dell’FBI Richie DiMaso (Bradley Cooper).
Quella che potrebbe essere la fine della storia è in realtà solo l’inizio, perché DiMaso chiede ai due complici-amanti di partecipare insieme a lui ad un’operazione segreta per raggirare alcuni importanti politici corrotti, tra cui il sindaco di una cittadina del New Jersey (Jeremy Renner). Tutto sembra filare liscio, ma le cose si complicano quando DiMaso s’innamora di Sydney e soprattutto quando entra in gioco la gelosa e instabile moglie di Irving, Rosalyn (Jennifer Lawrence), che farà di tutto per mandare all’aria il piano, specie quando i nostri avranno a che fare con la mafia locale.
Tra scenate di gelosia, bugie e false verità, l’operazione andrà in porto, ma non esattamente con i risultati sperati da Richie, tanto ambizioso e sicuro di sé quanto incapace di vedere da vicino le cose. La corruzione verrà punita, ma il più furbo la farà franca, perché il mondo in American Hustle sembra appartenere a chi inganna per primo, a chi il suo gioco lo fa dietro ogni possibile apparenza.
Dopo una carriera iniziata anni fa con la commedia Amori & disastri (Flirting with disaster, 1997) e con l’interessante satira bellica Three kings (1999), la produzione di O. Russell ha avuto una battuta d’arresto negli anni seguenti, si dice anche a causa del suo irascibile temperamento. Negli ultimi anni però ha sfornato un successo dietro l’altro e con The fighter e Il lato positivo sembra aver trovato la formula per coniugare l’apprezzamento del pubblico e quello della critica, portando fortuna anche ai suoi attori, alcuni dei quali sono stati premiati con l’Oscar.
Le pellicole più recenti portano alla ribalta famiglie un po’ incasinate, in bilico fra dramma, commedia e grottesco, con personaggi protagonisti ai limiti del borderline, se non della pazzia conclamata, ed emarginati, che tuttavia trovano un riscatto nel corso della storia, aiutati in genere da una figura femminile, energica e salvifica.
Con American Hustle, pur partendo da fatti realmente accaduti, la storia si fa più universale; i personaggi fanno sì parte dell’immaginario del regista con i loro eccessi e le loro caricature, ma rientrano anche in tipologie umane che vanno oltre le contingenze della narrazione. Qui si parla sostanzialmente di perdenti, siano essi arrivisti agenti dell’FBI, truffatori o sindaci benvoluti dai cittadini, ma disposti a scendere a patti con la mafia. Un’umanità varia, ma con un denominatore unico, dove vince (o sopravvive) chi riesce a ingannare meglio e per primo. “La gente crede a quello che vuole credere”, si dice nel film, e la frase può sintetizzare il senso stesso della pellicola.
Russell guarda i suoi personaggi con occhio indulgente e un po’ divertito ed è difficile non provare simpatia per Irving e Sydney, novelli Bonnie e Clyde, che si muovono alla ricerca di un’identità in un’America da poco uscita dal Vietnam e da scandali politici e bisognosa di rimarginare le proprie piaghe.
Christian Bale (American Psycho, Equilibrium, Il cavaliere oscuro) conferma la sua meticolosità nell’aderire fisicamente al personaggio e in questo caso si muove nei panni di un cialtrone, ingrassato di venti chili e con parrucchino dall’ampio riporto, curato con grande scrupolo. Gli stanno dietro Bradley Cooper (Una notte da leoni, Come un tuono), ormai lanciatissimo, con capello ricciuto e abbigliamento alla Tony Manero, Amy Adams (Il dubbio, The master), qui in versione sexy e scollature vertigionose, e Jennifer Lawrence (Un gelido inverno, Hunger games), casalinga “tamarra”, scatenata e sopra le righe, che in una scena canta istrionica Live and let die di Paul McCartney.
Mixando generi differenti e con un occhio particolare a Martin Scorsese (il cameo di De Niro ne è un esplicito omaggio), O. Russell forse non è (ancora) un autore o forse non intende nemmeno esserlo; sta di fatto che confeziona un film dal look smaccatamente Seventies, con un ritmo perfetto a incastri e con un quartetto di attori affiatati e bravissimi. Già candidato a diversi Golden Globe, tra cui miglior pellicola, il film si prepara a fare il pieno di nomination per i prossimi Oscar.