Regia: Emma Dante
Anno: 2013
Ha un gusto tutto teatrale il singolar tenzone che si svolge nel moderno western all’italiana di Emma Dante. Apostrofato come duello silenzioso o sfida intima e muta, dopo un primo slancio di movimento al servizio dell’introduzione dei personaggi e della materia si trasferisce in un teatro all’aperto che è quello di via Castellana Bandiera. La regista fa qui lo stabile della sua compagnia e da inizio allo spettacolo in una delle tante dimenticate o semplicemente sopite favelas italiane, quella di Palermo. Il degrado e la tragedia del popolino armano la cornice ideale per rendere unica e funzionale un’idea talmente semplice da divenire geniale in un lampo, un lampo di genio.
Una favela dove la spunta “chi teni i corni chiù duri“, già prima era così, dalla tragedia greca in poi, e non molto deve essere cambiato. Vi si scontrano una Emma Dante in divisa di attrice, (interpreta Rosa), intima e capricciosa, e una Elena Cotta (Samira), straniata quasi da formalismo russo e praticamente muta. Una Coppa Volpi, Elena Cotta, che parla solo nel momento del silenzio più totale, e in una lingua altra, l’albanese.
Le due si fronteggiano ad armi pari, lealmente e con tenacia, appunto da singolar tenzone. Si pisciano in faccia come sfida animalesca pura, rifiutando il cibo e la vita stessa che il medesimo rappresenta. Simbolismi fatti di materia pura, che diventano sillogismi piegati al servizio della messa in scena.
La lasagna o il nero di seppia, come ci rivela la stessa regista, sono stati distribuiti anche nella realtà dagli abitanti di via Castellana Bandiera, diventati comparse insieme a qualche personaggio (Renato Malfatti che interpreta Saro), che si è fatto anche protagonista durante l’occupazione della strada per i due mesi di lavorazione. A dimostrare ancora con maggior forza i topoi dei sentimenti di umanità e accoglienza in contrasto con la violenza, caratteri sempre presenti nel popolo basso. Gli attori che si esprimono in dialetto, non devono trarre in inganno, continua la regista, ribadendo un concetto a cui tiene particolarmente e cioè che non si tratta di un’ opera locale, come non si tratta di attori locali, ma di un’ opera e di interpreti che partono dal dialetto per generare la parola e non solo pronunciarla.
Il film è tratto dal romanzo dallo stesso titolo di Emma Dante, che come sua consuetudine non rinuncia a toccare temi sociali, come quello dell’omosessualità, Alba Rohrwacher interpreta Clara, un’ illustratrice e compagna di Rosa.
Le due si ritrovano nella Palermo da cui Rosa è fuggita, come allo stesso modo è fuggita dalla madre. Si ritrovano in una Palermo che non riesce a capire il mestiere di illustratrice di una punkabbestia che accompagna un’altra donna ad una cerimonia. La rabbia di Rosa si condensa in via Castellana Bandiera contro una vecchia di Piana degli Albanesi, Samira, che ha perso una figlia di cancro e che riesce a sorridere solo al nipote. Quando i due cavalli moderni, le automobili si trovano una di fronte all’altra è ormai troppo tardi per tornare indietro. Il vicolo è cieco. In realtà la strada era abbastanza larga per passare entrambe, ma il teatro come il cinema, a volte vive di simboli, e di simboli muore.
Un attimo prima che il film cominci a diventare troppo statico, a parte il teatrino interno dei personaggi che si muovono continuamente e che organizzano le scommesse su chi vincerà il duello, Emma Dante, risolve la storia, forse nell’unico modo in cui si poteva risolvere, ma anche questo la rende una magnifica storia.
L’unità minima del teatro è il quadro, ed è così che ci lascia l’opera, con un quadro ma in movimento, il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo si anima e corre veloce per andare incontro al vuoto, e il popolino si fa Popolo.