Regia: Roman Polanski
Anno: 1988
Il dottor Richard Walker (Harrison Ford), importante chirurgo di San Francisco, si reca a Parigi in compagnia della moglie Sondra (Betty Buckley) per partecipare a una conferenza internazionale durante la quale dovrà presentare una relazione di interesse scientifico.
Arrivati all’albergo si rendono conto che Sondra ha una valigia che in realtà non è la sua; i due immaginano subito cosa possa essere successo: probabilmente all’aeroporto c’è stato uno scambio di bagagli, e qualche altro passeggero ha preso per errore la loro valigia.
Questo scambio, questo errore, questa casualità, sarà la scintilla che darà il via allo svolgimento del thriller; Sondra verrà rapita e un disperato Richard si ritroverà a vagare ininterrottamente senza riposo fra le vie e i locali di Parigi alla ricerca della moglie perduta. Frantic! Appunto.
Infarciti come siamo di thriller (certo questo genere negli ultimi due decenni è quello che più di ogni altro ha fagocitato l’industria cinematografica) faremo forse fatica a “divertirci” o semplicemente accettare un film come Frantic, più asciutto, più semplice di molti suoi successori (dal thriller psicologico, a quello più complesso, dagli intrecci mirabolanti, dal thriller ultratecnologico a quello magari più “orrorifico”…).
Siamo forse agli albori del boom da thriller che ha caratterizzato gli anni ’90, e in questi albori non era certo al futuro che si guardava, ma al celebre passato, ovviamente riconducibile al nome di Alfred Hitchcock; i cultori di questo regista certo non si faranno sfuggire la miriade di citazioni che Polanski sparpaglia qua e là durante il film.
Per citarne una possiamo parlare della scena in cui Richard, appena arrivato all’albergo assieme a Sondra, va a fare la doccia – e non può che venirci in mente Psyco (Alfred Hitchcock, 1960) -.
Si tratta di un ritaglio di cinema veramente straordinario. In realtà non siamo di fronte a una sola scena, ma a due scene sovrapposte: in primo piano Richard che fa la doccia; in secondo piano Sondra che riceve una telefonata, risponde, si trattiene brevemente, riattacca e tenta di riferire qualcosa a Richard, che però non può sentire le parole della moglie per il rumore dell’acqua corrente.
La sequenza, come a voler sottolineare l’importanza del passaggio, si ripete nuovamente e Richard ancora una volta non riesce a capire quel che sta dicendo la moglie, la quale, quasi scocciata, si allontana dal piccolo scorcio di stanza visibile, data la sovrapposizione delle due scene.
Sondra riapparirà fisicamente nella storia solo dopo tante peripezie e un’oretta di film.
Magistrale la maniera in cui è condotta tutta l’operazione: da notare come il parlato di Sondra, udibile in un primo momento, si stoppa quando inizia a dire qualcosa in più, riusciamo soltanto a vederla, ma non a sentirla; Polanski ci lascia con un palmo di naso, e con la mente, durante il film, torneremo spesso a quella scena.
E’ proprio in questo momento che può ritenersi concluso il prologo. Un prologo fatto di dettagli che riescono a destare la nostra attenzione perché riusciamo a intuire l’importanza che avranno in seguito.
Inizia quindi la prima fase di indagine, godibile fin quando il mistero non inizia pian piano a svelarsi, poiché è in questo momento che il film subisce un’inflessione discendente: rotola giù fino all’epilogo quasi per inerzia, sembra essere sfuggito al controllo, si perde nell’ossessiva necessità di svelare tutti gli arcani, e il prima possibile. Ciò che ci era stato promesso nei primi quaranta minuti non è stato del tutto mantenuto, ci viene servito su un piatto d’argento quando invece poteva senza dubbio rimanere in dispensa. Ed è così che il titolo del film pare appiccicato in seguito alla stesura, come a voler giustificare qualche mancanza.
Eppure non ci si può dimenticare di quei primi quaranta minuti, che certo valgono il prezzo del biglietto.
Buona l’interpretazione di H. Ford, abile nel destreggiarsi fra il drammatico di una situazione indubbiamente difficile e il grottesco di alcune scene (Polanski non si fa mancare questo ingrediente neanche stavolta).
Da segnalare anche Emmanuelle Seigner, nel ruolo di Michelle, un personaggio che vive ai bordi, tra nobili sentimenti e malavita, che Richard troverà “per strada” durante le sue indagini. Michelle nonostante qualche frizione finirà per aiutarlo, ma il ruolo più importante che ha, negli equilibri del film, è quello di essere la matrice di una buona percentuale di grottesco, con il proprio fascino, il proprio essere sexy, che comunque (e qui sta, in un certo senso, il grottesco) non riuscirà a spostare di un millimetro o a turbare l’inflessibile Richard. Egli ha un solo obiettivo, ed è quello di ritrovare Sondra.
Musiche di Ennio Morricone e Grace Jones.
Sabato 14 settembre h. 00.20 su Rete 4