Regia: Giacomo Campiotti
Anno: 2013
«Ogni cosa è un colore». Debutta cosi’ il film di Giacomo Campiotti, tratto dall’omonimo romanzo di Alessandro d’Avenia del 2010 (co-sceneggiatore, con Fabio Bonifacci). Dopo Mai più come prima (2004), Campiotti torna al cinema con altri adolescenti a confronto con eventi drammatici, ma, questa volta, nessuna sfumatura per il protagonista.
Leo (Filippo Scicchitano) è un sedicenne come tanti, quello che lo accomuna ai suoi coetanei è soprattutto l’odio verso la scuola. Un odio che emerge dalle battute sarcastiche, dalle parole fuori luogo rivolte agli inutili professori. Per lui la scuola è bianca.
Come la malattia, come il dolore. E quello che non é bianco é rosso : la passione, l’amore, la vita…e soprattutto Beatrice, la ragazza più grande incrociata tante volte nei corridoi di scuola, il sogno, l’ispirazione, che diventa tangibile troppo tardi, quando Leo scopre essere malata di leucemia.
Nel corso del film, nella vita di Leo appare anche qualche macchia di colore, oltre la bitonalità. L’eccezione alla regola la fa il nuovo professore di letteratura italiana, non un vampiro come gli altri, lui é vivo. Luca Argentero, il professore sognatore, non troverà terreno facile nel conquistare e rompere l’aria da duro che Leo si dà tra i banchi della classe. Nello stesso tempo riesce a farlo semplicemente, con la sua spontanea passione verso l’insegnamento, quello che forse il ragazzo non aveva mai visto negli altri professori.
Una storia autobiografica, che deriva dall’esperienza professionale di Alessandro d’Avenia, ben interpretata da Luca Argentero, una storia contemporanea di una scuola lasciata alla deriva, dove i professori cercano un posto dove poggiare i libri. Il Sognatore, invece, vuole cambiare il mondo, facendo leva sul 10 per cento di possibilità che i giovani conservano prima di trasformarsi in adulti privi di speranza.
Il sognatore è l’unico che sprona Leo a non vedere tutto bianco o rosso, ma a dare una possibilità ad altre tinte: a non pensare a dare la vita, perché a volte bastano le cose più semplici.
Il giovane professore rompe la banalità degli altri personaggi, costruiti su un’ idea adolescenziale un po’ troppo stereotipata: bulli, secchioni, belle della scuola, negazione di Dio (e dell’ora di religione), genitori apprensivi (nonostante la simpatia di Flavio Insinna e Cecilia Dazzi), canzoni dei Modà, non manca proprio nulla.
Beatrice (Gaia Weiss), come l’angelica Betarice della Divina Commedia, è una presenza aurea, saggia, che parla poco e che, nel film, serve da pretesto a Leo per crescere e capire quello che a scuola non ha mai appreso. Beatrice è solo una finzione, come lo sono i suoi capelli rossi. Nella realtà Leo è il burattinaio di sé stesso.
La morale, sottotono, alla fine però è proprio svelata dalla vittima, Beatrice. Il rosso non sempre corrisponde all’amore vero. L’amore vero non è sempre l’amore reale, ma un’illusione, come la Beatrice di Dante e come quella del film. Vista poche volte, agognata, ma mai vissuta, non è un punto fermo come Silvia, la migliore amica di Leo (ovviamente innamorata di lui).
« Forse non sai che i recenti studi antropologici sostengono che, nella maggior parte delle culture, i primi nomi riferiti ai colori distinguono tra chiaro e scuro. Quando una lingua si raffina fino a comprendere tre nomi di colori, quasi sempre il terzo termine si riferisce al rosso. I nomi che indicano gli altri colori si sviluppano solamente in seguito, dopo che il termine che indica il rosso diviene di uso comune, ed è frequente che il termine “rosso” sia collegato alla parola che indica il sangue. »
Da vedere nel caso voleste passare due ore a sentire il mondo attraverso gli occhi di un adolescente, certo meglio dello sguardo disincantato delle ragazzine di Moccia.