Le ore

“Non ho tempo per descrivere i miei piani. Dovrei dire una quantità di cose su “Le ore” e la mia scoperta, su come scavo delle belle caverne dietro i miei personaggi: credo che dia esattamente quello che voglio, umanità, umorismo, profondità. L’idea è che le caverne siano collegate, e ciascuno venga alla luce nel momento presente.”

Virginia Woolf, diario, 30 agosto 1923

Le ore (Bompiani 2001) di Michael Cunningham viene pubblicato nel 1998, l’anno successivo si aggiudica il Premio Pulitzer per la letteratura e il Pen/Faulkner Award (e nel 2001 il Premio Grinzane Cavour per la narrativa straniera). Il libro viene tradotto in 27 lingue (il traduttore italiano è Ivan Cotroneo: scrittore e traduttore Bompiani, sceneggiatore, giornalista, autore televisivo e attivista omosessuale). Nel 2002 Stephen Daldry lo traspone cinematograficamente in The Hours.

Con una struttura sofisticata, Cunningham ci racconta la giornata di tre donne in tre epoche storiche diverse: Virginia Woolf alle prese con la stesura de La signora Dalloway, Clarissa Vaughan che sta preparando una festa per Richard (l’amico poeta che sta morendo di AIDS) e Laura Brown che si dedica alla preparazione della torta di compleanno del marito.
Nonostante i chiari rimandi intertestuali e le frequenti citazioni (al testo della Woolf) la metaletterarietà non sottintende un’idea postmoderna di riproduzione della letteratura per partenogenesi.
Le opere di Cunningham si iscrivono all’interno dell’ampio panorama del romanzo statunitense contemporaneo (da Philip Roth a Delillo) in cui si pongono al centro della narrazione rappresentazioni di situazioni storiche e di conflitti materiali fra popoli, classi e generazioni.
Michael Cunningham, militante di ACT-UP (associazione di informazione e lotta contro l’AIDS), impegnato per i diritti omosessuali, nonché gay dichiarato, riprende in questo romanzo i temi già esplorati ne Una casa alla fine del mondo (1990, edizione italiana Bompiani 2002) e che caratterizzano tutta la sua opera: AIDS, famiglia, cultura (gay) e società.

Virginia Woolf, sceglie di contenere nell’arco di una giornata l’intera vita del suo personaggio: Clarissa, la signora Dalloway (1925).
I gesti apparentemente banali e frivoli di Clarissa, che deve organizzare una festa ed inizia la sua giornata tra la figlia e la scelta dei fiori, camminando per la Londra tanto amata dalla scrittrice, articolano un sistema di significato alla ricerca di una ridefinizione del tempo.
Il semplice (borghese) gesto quotidiano assume uno spessore che trascende l’attimo, rincorre le ore passate (e quelle a venire), in una sottile ricerca stilistica (monologo interiore). Nel trattare il suo personaggio Virginia Woolf scava quelle che chiama “gallerie”, “anfratti”, dai quali emerge il passato di Clarissa e il suo modo di percepire, nella propria vita, gli altri esseri umani che si intrecceranno nelle ore della sua giornata.
Michael Cunningham parte da La signora Dalloway e ci costruisce intorno la vita di tre donne, in tre epoche diverse del Novecento.
La prima è Virginia Woolf, l’anno è il 1941 (quello del suo suicidio). La seconda è Laura Brown, casalinga californiana scontenta e depressa, moglie di un marito che non ama e madre di un bambino, Richard. È il 1950 e Laura è rapita dalla lettura del romanzo di Virginia Woolf: La signora Dalloway, che legge incessantemente. La terza è Clarissa Vaughan, editor newyorchese, che vive da quindici anni con una donna, Sally, “è la fine del ventesimo secolo” .

Cunningham cerca un modo nel quale le ore possano rincorrere e vincere il tempo: la narrazione, costruita in 22 capitoli, intreccia tre piani temporali, ciascuno simboleggiato dalla giornata di tre donne. Il libro è scandito in capitoli non numerati ma intitolati alle tre protagoniste.
Le giornate sono, stilisticamente, legate fra loro dal romanzo di Virginia Woolf: Virginia è dedita alla scrittura del romanzo, Laura Brown lo legge e Clarissa è l’alter ego del personaggio (e della stessa Woolf) attraverso citazioni e rimandi testuali. Le tre protagoniste sono accomunate da un destino di ricerca, di insoddisfazione esistenziale, di solitudine e di morte.

Il prologo, che apre il libro, racconta il suicidio di Virginia, le tasche piene di pietre, spaventata dalla guerra, dalla propria malattia, terrorizzata dalla possibilità di non essere nulla, non una scrittrice ma “solo una stravagante dotata” . E’ il 1941: Virginia esce da Monk House a Richmond per trovare “pace contro uno dei piloni del ponte a Southease” . Le successive sezioni incentrate su di lei procedono per flashback rispetto a questo momento (ma la morte programmatica dell’Autore è avvenuta).

L’ombra dell’autodistruzione sfiora, in quegli anni Cinquanta che vedono un’America all’apparenza ordinata e perfetta, Laura Brown. Madre e sposa intrappolata nella asfittica dimensione del suo ruolo, Laura sceglie dapprima di annientare se stessa (pensa al suicidio ma non lo attua), per poi cercare salvezza nella fuga.

Clarissa Vaughan sta per dare una festa in onore di un suo amico ed ex amante, Richard (che scopriremo figlio di Laura Brown), un malato di Aids che ha appena vinto un premio letterario.

Laura Brown prepara una torta per il compleanno del marito e vede un’amica, Kitty, che ama in segreto, e fugge in albergo a leggere La signora Dalloway.
Virginia è sull’orlo del suicidio, a Richmond, dove vive con Leonard Woolf: l’uomo che stima e non ama, quando arriva sua sorella Vanessa, con i figli. Dopo aver celebrato coi nipoti il funerale di un uccellino, trovato morto in giardino, Virginia parla a Vanessa del libro che sta scrivendo (che avrebbe dovuto chiamarsi Le ore) riflette con lei sull’ “agnello espiatorio” che da dimensione alla vita. Ma “non sarà Clarissa la sposa della morte” .
Nel libro della Woolf, la vittima sarà l’ex soldato Septimus Warren Smith (deuteragonista), che s’incammina verso la follia sino a suicidarsi poco prima della festa di Clarissa.
Nel libro di Cunningham, il posto di vittima sacrificale è preso da Richard, che a una morte ineluttabile, ma lenta e indecente, preferisce il suicidio, di fronte allo sguardo raggelato e disperato di una Clarissa, sin qui apparentemente anodina, che (forse) capisce e accetta i sintomi del dolore che sembrano travolgerla.

Il romanzo è un percorso metanarrativo tra testi e narrazioni, un affascinante gioco letterario, realizzato attraverso una prosa (talvolta lirica), un omaggio a Virginia Woolf, una variazione sul tema de La signora Dalloway riflesso nelle tre storie. Lo stile stesso dell’autore ricalca lo stile della Woolf, così come le tematiche centrali del libro: morte/suicidio, tempo, depressione e solitudine.
La sessualità (l’eterosessualità) nelle protagoniste è il prodotto di un condizionamento sociale che, come tale, agisce anche su tutti gli altri aspetti della personalità. Il divario tra desiderio e sessualità che vivono le tre donne risulta come un effetto delle relazioni economiche (e culturali).