Anna Karenina

Regia: Joe Wright
Anno: 2013

Eros e Tanatos coincidono nel tragico e spettacolare palcoscenico della vita. Anna, che non rinuncia al primo pur essendo socialmente riprovevole, è destinata a soccombere inevitabilmente al secondo.

La trama è conosciuta: Anna Karenina (Keira Knightley), sposata all’ufficiale governativo di alto rango Aleksej Karenin (Jude Law), durante un viaggio in treno alla volta di Mosca per aiutare il fratello fedifrago Oblonsky (Matthew Macfadyen) e convincere la moglie Dolly (Kelly Macdonald) a perdonarlo per l’ennesima volta, conosce la Contessa Vronsky (Olivia Williams) e suo figlio (Aaron Johnson). Tra i due è subito attrazione e, dopo una timida ritrosia iniziale, la donna cede. Inizia una relazione, chiacchierata dalla società zarista dell’epoca. I due amanti lasciano Mosca per vivere la loro passione, dalla quale nasce anche una figlia. Tuttavia, una vita ai margini dell’accettazione, le difficoltà del divorzio e lo spettro dell’infedeltà del colonnello Vronsky, gettano Anna nella disperazione.

Fin qui ciò che è noto, sia per il capolavoro di Tolstoj da cui l’opera è tratta, sia per le numerose trasposizioni cinematografiche che l’hanno interessata (tra cui la più celebre degli anni ’30, interptetata da Greta Garbo e diretta da Clarence Brown). Ciò che resta del film di Joe Wright (regista) e Tom Stoppard (sceneggiatore) è assolutamente originale, molto inusuale, e quindi a tratti vagamente destabilizzante.

Inevitabile cominciare dalla scenografia: fa da contraltare alle pochissime scene di esterni (in cui gli esterni sono “realmente” tali) un’ambientazione che è un teatro, per cui i protagonisti non si muovono nella città, ma su un palco e dietro le sue quinte, con i sipari che si aprono e si chiudono, le scene che si alternano, le coreografie e i passi di danza (che ricordano un musical) e le istantanee che ricreano quadri (uno fra tutti la “Donna con l’ombrellino” di Monet, che rivive in un momento in cui Anna si trova in un verdissimo campo carezzato dal vento).

Il teatro utilizzato dal regista, però, non è solo un espediente scenografico, è un metateatro, rappresentazione di quello che la vita in taluni contesti e momenti diventa: una farsa, la recita di un copione in cui ognuno incarna un ruolo e tutti osservano tutti -e forse non è un caso che le scene fuori dal palco corrispondano anche a quelle fuori da Mosca. In questo probabilmente la valenza sociale, che richiama la riflessione originale del romanzo sul gap esistente tra aristocratici e popolo, è ben incarnato nei due personaggi di Kostantin Levin (Domhnall Gleeson) e di Kitty (Alicia Vikander).

Ottima la fotografia di Anna Karenina, che insegue luci e ombre con fascino antico, le scelte stilistiche e cromatiche (Anna vestita di nero e Kitty vestita di bianco durante il walzer) e il sonoro, con musiche struggenti e suoni che diventano evocazioni (come nella scena della corsa in cui il rumore del ventaglio di Anna si trasforma nello scalpitio degli zoccoli dei cavalli).

Ottimo il cast, con una Keira Nightley lunare e altera, e un Jude Law compito fino ai limiti della rigidità, innamorato della moglie fino a perdonarla, fino a crescerne la figlia avuta con l’amante, eppure con un’emotività sempre troppo blanda, a tratti repressa (perché così si esige e ci si aspetta da un uomo della sua levatura sociale e culturale).

Pare quindi riuscito l’intento del regista (già avvezzo alle trasposizioni di grandi classici, come “Espiazione” del 2007 e “Orgoglio e pregiudizio” del 2006, ancora con Keira Nightley) di rivisitare un classico in una chiave inusuale e moderna. Molto moderna, giacché il tradimento della Karenina è prima indotto e favorito dalla società (si pensi al ruolo giocato dalla principessa Betsy Tverskoy, interpretata da Ruth Wilson), quasi ne fosse un’istanza goliardica, e poi condannato dalla società stessa (si pensi alla Contessa Lydia, interpretata da Emily Watson). Una società voyerista e vogliosa, ma al tempo stessa giudicante e bigotta. È questo che trasforma la felicità di Anna (l’Amore, l’Eros) prima in stordimento (alcol e morfina) e paranoia (per il sospetto dell’infedeltà dell’amato), poi in morte (Tanatos).