Regista: Olivier Assayas
Anno: 2012
“Sai qual è il mio limite? Vivo nell’immaginazione e quando la realtà bussa alla porta io non apro!” Uno sguardo poetico e intimistico a un’epoca in cui era possibile vagheggiare un cambiamento.
“Tra noi e l’inferno o il cielo c’è di mezzo soltanto la vita, che è la cosa più fragile del mondo”. Un’aula scolastica. Un insegnante che declama i pensieri di Pascal. Occhi di giovani imberbi che, inesperti del gioco d’esistere, si ostinano a figurare chimeriche dimensioni. Questo l’incipit di Qualcosa nell’aria (Après Mai, 2012), ultima opera di Olivier Assayas.
Il dono della giovinezza è la capacità di sperare. Il dono della giovinezza è la cupida voglia di snaturare i viziosi automatismi sociali, per rinnovarli. Il dono della giovinezza è il desiderio di amare, sempre, senza l’opaco limite della ragione. Il dono della giovinezza è il bisogno di credere che tutto possa cambiar forma. Il dono della giovinezza è la dimenticanza della propria finitezza. Chi è giovane non sa ancora che un giorno è nato, un giorno morirà.
Un racconto corale che tratteggia la fisionomia contraddittoria delle piccole generazioni francesi degli anni ’70. Una sigaretta. Un fiammifero che l’accende. Un respiro. Il fumo della contraddizione è l’ultimo lascito. Il fil rouge è la fatica a scovar la propria ragion d’essere e l’ostinata necessità a cambiare l’ordine costituito.
Lui è Gilles (Clement Metayer), nutrito dell’inesperienza dell’adolescenza e smosso dai frastornanti fermenti politici che lo circondano. Ama Laure (Carole Combes), ma lei l’abbandona. Il panorama di riferimento è quello dell’impegno nei collettivi studenteschi, dei cortei che inneggiano all’agognata rivoluzione culturale, delle idealistiche adunanze votate alla diffusione dei convincimenti marxisti.
Gilles è costretto a lasciare la Francia per sfuggire alle indagini sul ferimento di un vigilante, durante un agguato disposto da organizzazioni pseudo anarchiche e liberali. Un tuffo in Italia, con al seguito fidati amici e la nuova compagna, Christine (Lola Creton). Una sorta di Grand Tour novecentesco pianificato non da giovani aristocratici, ma da incauti ragazzi del proletariato urbano. Medesime le meraviglie ostentate dal suolo peninsulare. Minuti sobborghi di antica memoria; l’Arno che, sonnecchiante, occhieggia alla maliziosa Firenze; gli affreschi pompeiani che rilucono sotto il caldo sole vesuviano.
La fuga dalla Francia rappresenta la cesura con l’universo impegnato, sanguinario, virulento e rivoluzionario. La precipitosa partenza riflette l’introspezione psicologica del protagonista, la pausa dai rumori della folla e la nitida riflessione intorno alla sua poesia che è la pittura. Arte è il sottotitolo che copre le scene della sua quotidianità.
La pellicola focalizza le tematiche de Il disordine (Désordre, Assayas 1986), ripercorrendo il sentiero tortuoso di individui che non conoscono né i colori della pubertà né, tantomeno, quelli della maturità. L’obiettivo individua sempre un cosmo caotico di teneri infelici, brulicanti esseri sospinti dal germe della creatività; la passione per la musica, potente sino a condurre all’autodistruzione, è il movente del lungometraggio del 1986, l’amore per la pittura e per la disamina della sintassi cinematografica è, invece, quello dell’ultimo lungometraggio.
Impossibile non riconoscere l’intelaiatura portante de Il grande sogno (Michele Placido 2009), in un capovolgimento prospettico teso a illuminare il corpo poliziesco e la sua spietatezza repressiva dei moti ribellistici universitari.
Una storia, quella di Michele Placido che, pur osservando con disincantata crudeltà e profondo realismo, gli sconvolgimenti del ’68 riesce a soffermarsi liricamente sul sentimento che unisce Nicola (Riccardo Scamarcio) e Laura ( Jasmine Trinca); il regista è capace di ritagliare, all’interno della truculenta esposizione evenemenziale, attimi nei quali è l’emotività a troneggiare, momenti di silenzio durante i quali Lui può recitare per Lei un frammento di Shakespeare, istanti di quiete in cui Romeo può abbandonarsi a un dolce bacio con Giulietta.
Assayas, nonostante rinunci a un simile patetismo emozionale, tempera nella trama, come fa l’autore italiano, la pulsione verso l’arte che funge da contraltare alla sequenza violenta dei cortei politici: Gilles vorrebbe divenire un pittore, Nicola un attore. La sua Parigi assomiglia, talvolta, a uno scatto di Doisneau. I suoi corpi femminili, abbandonati in un sonno seducente e lascivo, sembrano riecheggiare i frammenti carnali di Volodia Popov.
E quando la proiezione giunge quasi al suo epilogo Lui ritrova Laure. Lei è smarrita. Non ha saputo ingannare e addomesticare l’inquietudine del vivere. “Tu sei fortunato”. Dice Laure. “Perché?”. Risponde Gilles. “Perché sai quello che vuoi dalla vita”.
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