Regia: Scott Derrickson
Anno: 2011
Spaventare il pubblico non è una facile impresa. La qualità del genere horror cala anno dopo anno nel tentativo di raggiungere l’ambita meta da Shocker del momento.
Evviva, quindi, le orridi fantasie teenager saccheggiatrici di citazioni dal passato, vogliosi di disgustare lo spettatore in mancanza di idee d’impatto o, paradossalmente, sottili.
Giochi di luce, di fotografia, di personaggi fittizi e colpi di scena ricercati senza freno, tradiscono il genere negli anni 2000, sputando pellicole talmente ridicole da urlare al Cult, o convincenti quel poco da esclamare “franchise“.
Sinister sembra piombare nell’esatta metà di queste due categorie. Né più, né meno.
La trama, ineccepibile nell’idea, ruota attorno ad alcuni filmati Super 8 rinvenuti da uno scrittore di cronaca nera in declino, Ellison Oswalt (Ethan Hawke: L’Attimo Fuggente, 1989; Training Day, 2001), nella dimora di un massacro svoltosi anni prima, su cui ancora grava il mistero di una bambina scomparsa nel nulla. In procinto di iniziare le ricerche per il suo prossimo libro, Ellison scopre che le pellicole sono in realtà degli snuff movie in cui vengono mostrati omicidi raccapriccianti e che potrebbero mettere in serio pericolo la sua famiglia da un’entità pagana chiamata Bughuul.
Nato da un’idea del regista Scott Derrickson (The Exorcism Of Emily Rose, 2005) e dallo sceneggiatore esordiente C. Robert Cargill, Sinister si presenta come il figlio dell’orrore old/new ibrido, rispettando il passato e tentando di allungare una mano verso un spazio d’onore nel cuore dei fifoni.
Con un setting iniziale molto fluido dell’atmosfera e dei personaggi, siamo subito catapultati nel mondo oscuro di Allison. Lo scrittore, in bilico tra realtà e stereotipo, si trova alle prese con un mondo osservabile tramite VHS e Super 8, ma comprensibile solo con MacBook e iPhone. Teme la distruzione della sua famiglia quasi quanto quella della sua celebrità e non esita a sporcarsi le mani di incubo nel tentativo di salvare carriera/cari.
La prima parte del film gioca in continuazione sulle immagini rovesciate e proiettate di speranze e deliri; l’illusione di una famiglia non perfetta, ma almeno funzionale, la speranza di riuscire a fare Quel Passo in più, il sogno di voler salire la vetta e sentirsi veramente completo.
Allison, semplicemente, funziona. Hawke salva inceppi dialettici con enorme disinvoltura, si nasconde il volto tra le mani orride e scoppia in volteggi isterici di completa armonia caratteriale; la forza del film giace parzialmente in lui.
Ma con l’avvio del proiettore maledetto, compare il principale pregio/difetto di Sinister: quello di un ghigno malefico, stranamente simile a quello del villan, che sembra osservarci staticamente dal retro delle scene, compiacendosi delle immagini sporche e allucinate in movimento.
Giocando ancora sul dualismo, la regia convenzionale si sposa con sequenze in puro found footage, celebrando veri dipinti di disgusto e paranoia sovrannaturale. Famiglie annegate, genitori deturpati, corde, taniche di benzina, tagliaerba scioccanti.L’ordinario diventa mortale e stravolto, mentre il ghigno si apre sempre di più, pellicola dopo pellicola, spaventando, violando le normali regole etiche dell’horror americano senza trasformare le vittime in pura carne da macello e addentrandosi sempre più in un universo da cui non sembra possibile allontanarci nemmeno per un respiro.
Il mood di una nebbia filmica dai colori acerbi e graffianti subentra dalla soffita e ci percuote dalle prime immagini retrò. E il ghigno, sempre li, ammiccante. Si diverte con mani fantasma che fuoriescono dal buio e volti mostruosi nascosti tra i cespugli, e noi quasi gli siamo grati, vogliamo di più.
Vogliamo altri filmini, altro disgusto, quasi ci sentiamo parte di questa dannata famiglia.
Poi, raggiunto un certo climax di repulsione, tutto crolla. Il Sorriso Malefico sembra essere già soddisfatto, va già bene cosi.
Hawke, ancora perfettamente calato nel personaggio, oltrepassa lo spettro di un proiettore cinico ma monotono.
E Sinister ci delude. Sinister arranca nel suo sogno perverso senza accorgersi che ci siamo già svegliati, e lascia che gli eventi continuino.
Ci stufiamo degli stessi due elementi sonnambuli di rilievo usati per farci saltare un’ennesima volta, e ci si stufa pure del cattivone, ormai pulito della sua foschia misteriosa. Introduce la spalla questo e quello e sembra quasi virare verso il dramma a un certo punto. Poi, rompe definitivamente la magia trasformando lo spettatore in onnisciente, mostrandogli molto chiaramente quello che i personaggi in realtà non vedono.
Tentennando, arriva il finale. Sinister, muore con disonore, rivelandoci carte facilmente comprensibili già dalla prima ottima metà e mostrandoci le conseguenze aspettate. Forse era meglio alzarsi e andarsene da metà.
Arrivano i titoli, parte la musica dei Boards Of Canada.
L’orrore ci saluta, alla prossima. Forse per allora ce la farà.