Regia: Lasse Hallström
Anno: 1999
Un giovane e compassionevole uomo, cresciuto e diventato dottore in un orfanotrofio, decide di lasciare la struttura e di esplorare il mondo all’esterno.
L’atmosfera fiabesca di un orfanotrofio; i colori e le ambientazioni del Maine degli anni ’30 e ’40; la tela intricata dell’amore, dell’affetto e della morte, motore del genere umano e base indiscutibile di ogni film drammatico che si rispetti.
E’ così che viene dipinto sul grande schermo uno dei romanzi di più grande successo dello scrittore e sceneggiatore del film John Irving, premiato con l’Oscar alla sceneggiatura non originale nel 2000.
Homer, interpretato egregiamente da Tobey Maguire (famoso per la trilogia di Spider Man di Sam Raimi), è un giovane orfano cresciuto dal dottor Larch (Micahel Caine), un anziano medico dipendente dall’etere e uno dei pochi a praticare l’aborto.
Restio a sostituire il Dr. Larch nel suo lavoro, Homer decide di lasciare l’orfanotrofio assieme ad una giovane coppia, Wally (Paul Rudd di 40 Anni Vergine (2005) e Una Notte al Museo (2006)) e Candy, interpretata da una bellissima Charlize Theron (nella sua prima e non ultima apparizione degna di nota). Vuole poter raggiungere la propria indipendenza in modo autonomo. Fuori dall’orfanotrofio Homer troverà lavoro presso la piantagione di mele dei due, dimostrandosi disciplinato e comprensivo; sarà la chiave della trasformazione di tutti i personaggi che gli orbiteranno attorno.
La forza della vita e dell’amore vince sopra ogni cosa, anche sulle morti di cui il film è costellato; queste riescono a malapena a scalfire la sapiente griglia di valori umani che si costruisce durante il film. Un messaggio positivo per tutti, che fa venir voglia di misurarsi con il mondo con onestà e sincerità.
Diretto da un sapiente Lasse Hallstrom, regista due volte candidato all’Oscar e conosciuto soprattutto per Chocolat (2000) e Dear John (2010), il film riesce ad infilarsi in tutte le pieghe emotive del romanzo e della sceneggiatura, risultando tenero a tratti, nostalgico e molto romantico.
La scelta delle inquadrature, del ritmo, dei movimenti e degli eventi fisici dei personaggi non riesce mai a disorientare lo spettatore, creando una realistica orchestra di vite e catapultandolo dritto nella storia.
La fotografia del britannico Oliver Stapleton, a lungo compagno di crew di Hallstrom, regala immagini sempre pulite e coerenti con l’evento emotivo, che accompagnano l’interpretazione del racconto e ci lasciano cadere in un’atmosfera sospesa di eterna curiosità; è quella dei bimbi dell’orfanotrofio e pervaderà Homer durante tutto il suo viaggio.
La sceneggiatura di John Irving è una garanzia, non a caso premiata con un Academy Award. I personaggi brillano di luce propria, sono vivi e reali; entrano ed escono dallo schermo conducendo le loro esistenze in modo totalmente coerente con il mondo della pellicola.
La storia è scandita nei suoi atti in modo preciso e tiene attaccati allo schermo dall’inizio alla fine, senza mai risultare ridondante o superflua in nessuna delle sue scene.
Le Regole della Casa del Sidro ci offre con delicatezza ed innocenza una pregevole lezione. Una pellicola umile, da vedere. Perchè? Perchè vive.