Regia: Upendo Hero – Dr. Farasi
Anno: 2012
A metà strada fra film e documentario, Twende Berlin è la storia di un viaggio e di una missione. Un gruppo di giovani musicisti kenioti lascia Nairobi alla volta di Berlino. Loro sono gli Ukoofani detti anche Ukoo (i soldati dell’amore) e credono all’idea di Upendo Hero (eroe dell’amore – nonché regista del film). Raggiungere Berlino per difendere un bene prezioso in pericolo: lo spazio pubblico.
Per Upendo lo spazio pubblico è un luogo preciso del suo villaggio in Africa, è quello in cui è nato e si è sentito libero insieme ai suoi genitori. Ora al suo posto c’è un centro commerciale, che ha reso Upendo un prigioniero. La partenza verso la fredda Germania è quindi un progetto di evasione-liberazione. Questo il prologo. Espiedente fantasioso a sostegno della trama.
Gli Ukoo partono. Arrivano a Berlino. La neve, attesa e temuta, è sui tetti della città. Il viaggio-missione ha inizio. C’è un nemico da combattere, invisibile e temebondo. Si chiama Gentrification.
Il termine, coniato dalla sociologia inglese, descrive quei processi di trasformazione urbanistica delle periferie, spinti e finanziati dalle grandi multinazionali immobiliari, che modificano la struttura sociale e abitativa di pezzi di città ad uso e consumo esclusivo dei più ricchi (gentry è il gentiluomo inglese), sfrattando gli abitanti originari, cioè i nativi, cioè i poveri.
A Berlino il nemico che ha nome Gentrification sta minacciando tanti luoghi collettivi della comunità che sono “abitati” sopratutto dalla classe creativa: urban artists, forografi, musicisti, artisti di strada, writers, performers.
Gli Ukoo guidati da Upendo – identificato visivamente da un grande cuore rosso con gli occhi, indossato a mò di antica maschera teatrale – vanno in giro per la città alla ricerca degli “spazi pubblici” in pericolo.
Cominciano con il centro di cultura e arte urbana “Tacheles”; passando per il cosidetto “Ghetto” e il suo soviet-style; quindi la “Est side gallery”, memoria e testimonianza sulla città prima della caduta del muro. Eppoi altri luoghi ed esperienze di creatività, interculturalità, espressività. Un omaggio a Berlino, capitale ideale di un nuovo umanesimo contemporaneo. Il film – non a caso – ha avuto un consistente sostegno finanziario da parte del Goethe Institut di Nairobi.
Twende Berlin è dunque un manifesto-denuncia contro le nuove forme di colonialismo del terzo millennio, che minacciano le grandi metropoli perchè le gentrificano.
Gli africani Ukoo, vittime del vecchio e del nuovo colonialismo, vanno a combattere insieme ai fratelli tedeschi – originale l’idea di questo ribaltamento di prospettiva – perché difendere gli spazi pubblici è difendere l’identità e l’umanità di tutti. A Nairobi come a Berlino, nel sud e nel nord del mondo. “Senza spazi pubblici non c’è amore” è il claim del viaggio-missione.
Il format visivo è coerente e innovativo. Il layout decisamente underground è disegnato dalla luce metallica e metropolitana della fotografia (di Adrien Storey). La musica fa tutto il resto. Raggae, hip-hop, rap, sonorità freestyle accompagnano e ritmano le riprese, che scorrono veloci sugli spazi urbani con accenni, qua e là, a poetiche futuriste. Nell’ibridazione riuscitissima di suono e immagine sta il pregio formale di Twende Berlin.
Qua e là, qualche cedimento alla retorica no-global, no-logo, no-capitalism, contrapposti all’amore universale, un po’ naif e mistico, degli Ukoo. Un taglio di un quart’ora alla durata complessiva (80 min.) avrebbe evitato qualche ridondanza a vantaggio dell’efficacia comunicativa complessiva; che comunque è apprezzabile perchè ben appoggiata su una dimensione di levità e autoironia che rende la visione godibile e divertente.
Il film, produzione indipendente di Urban Mirror cbo e Cultural Video Organization, uscirà nelle sale italiane il 23 novembre, distribuito dalla Manhattan Film. Da vedere.
[adsense]