Regia: Iginio Straffi
Anno: 2012
La Rainbow CGI, con la regia di Iginio Straffi (papa’ delle Winx con Winx Club – il segreto del regno perduto, del 2007 e Winx Club 3D – Magica avventura, del 2010) e un budget di oltre 40 milioni di euro, insegue il successo con un prodotto di animazione tutto di casa nostra, o quasi.
Ingaggiato Michael J. Wilson (Shark Tale, 2004 e L’era glaciale, 2002) per la sceneggiatura e oltre 5 anni di lavorazione, Straffi deve però confrontarsi con gli importanti prodotti casa Pixar, Dreamworks e Sony animation. Il contrasto è forte ed il risultato mostra le lacune tecniche di un genere in cui siamo (ahinoi) decisamente arretrati.
Il soggetto rappresentato per conquistare il mondo? Ovviamente Roma, con la sua Storia.
In primo piano, le gesta di Timo che, durante l’eruzione di Pompei, rimane orfano e viene allevato dal generale Chirone, capo della scuola di Gladiatori più importante dell’impero. Il ragazzo, crescendo, non sembra essere molto attratto dalla vita in accademia e preferisce bighellonare con i suoi due amici Ciccius e Mauritius. Ad un tratto, la svolta. Succede, come in ogni favola che si rispetti, che la dolce e splendida Lucilla (sua sorella acquisita) è promessa all’ antipatico Cassio, nipote dell’imperatore. L’unico modo per Timo di impedire il matrimonio è sfidare Cassio in un duello nell’arena, pertanto si affida al più grande personal trainer in circolazione: la sexy dea Diana.
Venduto in 400 sale italiane e 3000 internazionali (negli States approderà in primavera 2013), Gladiatori di Roma è un prodotto destinato esclusivamente ai più piccoli e non, come avrebbe desiderato il regista, “dagli 8 agli 80 anni di età”. Le gag comiche, ma già viste (Shrek, DreamWorks, 2001), battute semplici e una realizzazione tecnica poco curata nei dettagli. È, infatti, quest’ultimo dato a segnare il divario qualitativo Italia – resto del mondo. Non nella realizzazione degli scenari, belli da vedere, ma soprattutto nei dettagli dei volti e delle mimiche facciali, piuttosto scarse in quanto a fluidità e interazione con le scenografie realizzate. Paesaggi ricchi fanno da cornice a personaggi ricreati malamente, dall’epidermide lucida, come fossero plastificati e dai movimenti scattosi e accellerati. Nota positiva è sicuramente la trasposizione della terza dimensione (3D) alla quale stiamo pian piano abituandoci e che nulla ha da invidiare a realizzazioni recenti di alto grado qualitativo.
La storia risulta troppo spesso noiosa e povera di originalità: 90′ minuti di trame già viste e digerite.
La morale, facilmente individuabile, ricalca il concetto dell’eroe che, con costanza, impegno e senza inutili sotterfugi può ottenere qualsiasi risultato, anche questo già visto (Hercules, Walt Disney, 1997).
Il doppiaggio è discutibile. La scelta, su tutte, di associare il personaggio della sexy dea Diana, a Belen Rodriguez, è davvero banale e decisamente troppo commerciale: la recitazione è forzata e di scarsa qualità.
La subrette argentina è (forse) giustificabile essendo un’esordiente nel campo del doppiaggio, ma Laura Chiatti (che presta la voce a Lucilla) e Luca Argentero (nei panni di Timo), attori professionisti, risulatno altrettando inadeguati.
L’interrogativo è d’obbligo: valeva davvero la pena spendere 40 milioni di euro? Magari, si poteva tentare la fortuna internazionale con un film in carne ed ossa.
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