Regia: Darren Aronofsky
Anno: 2010
Darren Aronofsky ci trascina a passo di danza in un viaggio nella psiche tormentata della fragile ballerina Natalie Portman
Spesso e volentieri, sentendo parlare de Il cigno nero, ciò che colpiva era quanto l’attenzione fosse canalizzata sulla rivalità fra le due ballerine protagoniste della vicenda, Nina (Natalie Portman) e Lily (Mila Kunis), che si contendono la parte di Odette/Odile ne Il lago dei cigni di Tchaikovsky.
Appare però evidente, a film terminato, quanto tale scelta mediatica fosse obbligata, per evitare di rivelare troppo allo spettatore, in quanto il vero punto cardine della storia è invece la rivalità fra Nina e Nina, fra il cigno bianco e quello nero, fra i due lati della stessa medaglia: quello docile, schivo e innocente e l’altro, sensuale e sicuro, che si fa strada in un crescendo continuo man mano che i minuti passano, e che trova finalmente il suo climax nella meravigliosamente girata sequenza finale del balletto, per l’appunto, del Cigno Nero: un vero e proprio pas de deux fra il regista e la sua macchina da presa.
Il tema del doppio, ricalcato anche dalla presenza insistente di specchi e superfici riflettenti in gran parte delle inquadrature, si mescola alla paranoia, alla follia, alle allucinazioni; Aronofsky inganna lo spettatore, lo convince di qualcosa e subito si smentisce, facendolo diventare vero e proprio protagonista degli inquietanti deliri di Nina e trasponendo alla perfezione sullo schermo la confusione che regna nell’inconscio della ballerina, continuamente in bilico tra la realtà e la più torbida immaginazione.
Natalie Portman è meravigliosa, bisogna ammetterlo: la sua metamorfosi, soprattutto fisica, è impressionante, e la versione doppiata del film non le rende assolutamente giustizia, tant’è che solo dopo averlo visto una seconda volta in lingua originale mi sono potuta (e dovuta) ricredere sulla sua performance, che le è valsa l’Oscar come migliore attrice protagonista nel 2011.
Quando ho sentito nominare per la prima volta questa pellicola era l’ormai lontano 2010, e la tentazione di correre a Venezia (alla Mostra del Cinema, della quale era il film d’apertura) per vederlo subito era fortissima; d’altronde Aronofsky, almeno per la sottoscritta, è uno di quei registi di cui ci si può sempre fidare, senza timore di rimanere delusi. E infatti, anche stavolta è stato così. Il cigno nero è davvero uno di quei film che ti fanno uscire dalla sala soddisfatto, uno di quelli che rivedresti volentieri il giorno dopo, e forse anche quello dopo ancora. E il merito va, almeno in parte, anche alle toccanti ed immortali note di Tchaikovsky.