The Counselor – Il Procuratore

the counselor 1Regia: Ridley Scott
Anno: 2014

Sul confine fra Messico e Stati Uniti, un avvocato entra in affari con la malavita nella vendita di una partita di droga. Qualcuno soffia il carico, fra i responsabili sembra esserci un ex cliente dell’uomo, scaraventato improvvisamente in un mondo spietato e sanguinario di cui non conosce le leggi.

“La vita è stare in un letto con te…Il resto è attesa” dice l’avvocato senza nome (Michael Fassbender) all’avvenente fidanzata (Penelope Cruz). Il film, dopo essersi strusciato, nell’incipit, assieme alla coppia, addosso ai corpi eccitati sotto le lenzuola, diventa più o meno la stessa cosa: sospensione ansiosa e paralizzata, attesa di una fine annunciata, punto di non ritorno. Una morte senza pathos né significato a gravare inevitabilmente su tutti, ineluttabile.

Uno sparo nel buio a un volto sconosciuto che passa per strada. Un cadavere putrefatto in salamoia che viaggia su e giù per la frontiera dentro un barile (“Questa è l’America” dice un fattorino). Corpi-preda, “cauzioni” umane a garanzia delle transazioni.

In quest’umanità putrida arsa dal sole del deserto, si uccide per un nonnulla e senza niente di personale. Nessun rancore e forse nemmeno vendetta: è solo lo step per concludere un affare, un biglietto da visita per conservare la reputazione, come quelli distribuiti dall’avvocato.

the counselor2The Counselor-Il Procuratore, prima sceneggiatura di Cormac McCarthy (The Road, 2006, Non è un paese per vecchi, 2005, da cui l’omonimo film del 2007 dei fratelli Coen) è un ingranaggio narrativo lento ma inesorabile, che a poco a poco si stringe implacabilmente sui personaggi. Stritolandoli, strozzandone vite, destini e ambizioni. Come quel gingillo mortale subdolo e silenzioso usato dai sicari per soffocare le vittime. Arma crudele e inconsueta, sinistramente simile a quelle usate dal killer Chigurh di No country for Old Men. Anche lì, tutto e tutti a inseguirsi, gravitando intorno ad un malloppo/carico da recuperare (là una borsa con i soldi, qui il camion di droga).

Ridley Scott, con una regia prudente ma sempre puntuale, asseconda l’impostazione filosofeggiante (dissertazioni sulla morale, il dolore e i valori, il caso e il caos delle coincidenze, la banalità della vita e l’insensatezza della morte, la fiacchezza umana e la ferocia animale) e antispettacolare dello scrittore. Con dialoghi densi e rarefatti, farneticanti ma quasi senza ironia, molti più cupi e freddi di quelli tarantiniani (“La verità non ha temperatura”, dirà del resto la perfida Malkina).

Procedendo con una serie di non-climax culminanti nella sudicia stanza d’albergo dove l’avvocato si dispera fissando un dvd. Non le immagini di un video, ma l’oggetto in sé, il disco. Tremendo e inequivocabile simbolo di una barbarie avvenuta ma non mostrata.

Forse perché, seguendo il ragionamento del mediatore-cowboy Westray (Brad Pitt), guardando uno snuff movie anche lo spettatore diventa autore e complice dell’omicidio, mentre qui lo si vuole lasciare testimone annichilito, al pari del personaggio. Ciò che non si vede è comunque più terrificante di qualunque cosa potremmo vedere.

Ogni incontro (il vecchio amico-cliente dell’avvocato, la donna in galera), discorso, aneddoto, anche il più assurdo, come la “famelica” Malkina che fa sesso con la Ferrari in spaccata sul parabrezza, diventa segnale funereo e presago di una tragedia imminente ma inevitabile. “Ma questo c’entra qualcosa con il nostro affare?” chiede impaurito l’avvocato all’abbronzato Reiner (Javier Bardem). La prima di una serie di domande inutili e inevase.

Così, salvo una sparatoria su una strada in mezzo al deserto, la tensione si sposta sul volto progressivamente liso e scavato dell’avvocato. Sempre più angosciato per qualcosa di nefasto che in attimo è già successo, e non resta altro da fare se non accettarne le conseguenze. Di fronte ad un bivio dove l’unica certezza è quella di non poter tornare indietro.

thecounselor3Chi governa tutto questo, dall’alto? Una minaccia nascosta nell’ombra oppure onnipresente (i boss del cartello) come una divinità. Perché Dio, quello vero (?), non poteva certo nascere in Messico, dove non si trovano né una vergine né tre saggi (lo spiega sempre Westray). E anche i suoi vicari si dileguano davanti all’evidenza di un potere spietatamante al di là del bene e del male (il prete fugge dal confessionale in cui si è infilata Malkina).

Inutile cercare la purezza imperitura dell’amore in un diamante raffinato. O inseguire grazia ed eleganza nelle mosse di un leopardo intento a ghermire la preda. L’uomo resta goffo, fiacco, bolso e corrotto e forse, come le donne di Reiner, vuole solo divertirsi e sporcarsi un po’, prima di sorridere (?) in faccia alla morte.