Regia: Lee Daniels
Anno: 2013
Cecil Gaines (Forest Whitaker) è un nero americano che nasce schiavo in una piantagione di cotone. La sua storia comincia quando bambino vede suo padre ammazzato brutalmente dall’uomo bianco, quello stesso che pochi attimi prima ha violentato sua madre.
Il piccolo Cecil è salvato dalla solitudine e dalla durezza dei campi grazie all’interessamento della vecchia padrona (Vanessa Redgrave) che decide di prendersi cura di lui, promettendo di insegnargli a diventare un nero di casa. Cecil impara. Cresciuto, lascia la casa (e la padrona) e comincia la sua vita di uomo adulto. Un altro nero, vecchio cameriere in un ristorante cittadino, lo accoglie e lo introduce negli ambienti che contano. Lui ha imparato, è diventato davvero un “nero di casa” bravo, competente, affidabile.
Così la sua vita diventa “bella” come non avrebbe mai immaginato. Una bella casa, una bella famiglia, un lavoro importante fra gente che conta.
Infine il sogno: maggiordomo alla Casa Bianca. Sono i tempi della presidenza Eisenhower (1952). Cecil il maggiordomo servirà tutti i Presidenti americani per trent’anni.
E così la vicenda personale di questo uomo semplice si intreccia con quella nazionale, con quel pezzo di storia americana che racconta il progressivo adattamento della democrazia alla spinta insopprimibile verso l’integrazione razziale e l’uguaglianza dei diritti fra gli esseri umani. Fino ad Obama nero eletto Presidente. In mezzo c’è Kennedy e il sogno di una nuova giustizia stroncato a Dallas, c’è Martin Luther King, il Ku Klux Klan, ci sono i Black Panthers, di cui diventa affiliato il figlio maggiore di Cecil in opposizione al padre. La dinamica conflittuale padre-figlio costituisce una delle componenti forti della sceneggiatura, anche in questo caso nel doppio significato, ben controllato dalla regia, intimo e storico-politico.
Basato su una storia vera, The Bulter è scritto e diretto da Lee Daniels (Precious, 2009). Esce un’anno dopo Django Unchained (Q. Tarantino, 2012) e Lincoln (S.Spielberg, 2012), e – seppur con un impianto narrativo decisamente didascalico – è un altro film che torna prepotentemente sul tema della schiavitù e della questione razziale, quasi a completare quella sorta di catarsi collettiva che l’America di Obama sente di dovere a se stessa e forse al mondo, scavando negli angoli oscuri del proprio essere, smascherando senza censure le proprie drammatiche contraddizioni.
Tutto poggia sulla gigantesca interpretazione di Forest Whitaker, misurata, intensa, commovente, che scongiura le scivolate retoriche in agguato in taluni passaggi.
Una incredibile faccia nera che esprime insieme fierezza e subordinazione, sconfitta e vittoria, superbia e vergogna, sfida e rassegnazione in un equilibrio sapientissimo che dice sopratutto la disarmante verità di un uomo giusto che combatte a suo modo una storia sbagliata. Da vedere.