Regia: Christopher MacBride
Anno: 2012
Aaron Poole e James Gilbert sono rispettivamente Aaron e Jim che stanno girando un documentario su Terrance (Alan C. Peterson) una sorta di predicatore sociopatico tifoso della teoria secondo cui esisterebbe una gigantesca e segreta cospirazione ordita da una qualche non definita organizzazione il cui scopo è quello di instaurare un nuovo ordine mondiale. I ragazzi, inizialmente sorridono bonariamente degli atteggiamenti sensazionalistici del loro intervistato, che va in giro per la città con un megafono denunciando cospirazioni e insolentendo i politici e che passa il resto del suo tempo a difendersi da presunti controlli invasivi perpetrati da fantomatici agenti di chissa che servizi segreti(pedinamenti, intercettazioni telefoniche e digitali ecc.). Avverrà poi per gradi una sorta di equiparazione identitaria tra i due giovani e l’appesantito teorico del complotto, per cui Aaron e James, che dopo la misteriosa sparizione di Terrance avevano proseguito le sue indagini, assumeranno proprio quei suoi comportamenti paranoidi, e apparentemente ingiustificati che inizalmente avevano fatto oggetto di un trattamento sarcastico e un po’ paternalistico. Il dubbio sulla veridicità dell’allarme complotto si accresce mano a mano che prosegue il film ed emergono nuovi collegamenti e indizi, e che insieme a questi si acuisce il senso di minaccia per i due protagonisti che si scoprono braccati, spiati controllati.
Quella raccontata qui è sorta di malattia altamente infettante, che chiameremo sindrome da cospirazione, cui i ragazzi non riescono a sottrarsi, gli basta osservare alcuni dati tra i molteplici raccolti da Terrance, fare inconsciamente due più due, e il gioco è fatto, cadono nella spirale regrerssiva della infinita collegabilità tra gli eventi. Segreti conviti tra politici, manovre militari occulte, missioni e omicidi secretati, antiche sette e moderne lobbies di potere invisibile, a questo punto sembrano spuntare ovunque, i conti sembrano tornare sempre, ma altrettanto ragionevolmente possono non tornare mai, se si sposta di poco il punto di vista. Teorie che non puoi mai dimostrare del tutto vere e di cui non puoi neanche dire che siano false, uno stillicidio del pensiero, che può portare alla follia.
Un film sulla labilità delle certezze e sulla paranoia, che si rivela instabile anche nella forma. The Conspiracy è un ibrido sghembo, che metabolizza generi e stilemi differenti. Mokumentary e fatti reali, l’indagine di genere spionistico, lo stile documentaristico e la narrazione finzionale, presunte verità, interviste e testimonianze in prima persona, filmati d’epoca o d’archivio, tutto si mescola in questo lavoro dalla difficile catalogazione. Il tenore generale ricorda un po’ Moore, con la differenza che qui si tratta di un prodotto di fiction che metalinguisticamente replica le caratteristiche stilistiche del suo linguaggio e che, alla stessa maniera, intende produrre effetti concreti sulle conoscenze dello spettatore, che sarà messo a conoscenza dell’esistenza di questa gigantesca cospirazione, qualora già non lo fosse, o che verrà informato su eventi reali difficilmente conoscibili, forniti come elementi su cui fondare una coscienza critica condivisa e una informazione indipendente.
Gli amanti della coerenza narrativa a tutti i costi potrebbero rimproverare a questo film alcune falle nella costruzione fabulativa (non è proprio chiaro come i due riescano a infiltrarsi al convito degli adepti di Mitra), questo è un dato di fatto, credo però che non sia quella la vocazione primaria di questo lavoro e dei suoi registi, che puntano più che altro all’evocazione per via metalinguistica del genere del docu-drama all’interno del corpo di un film narrativo.
Spunti interessanti sono sparsi un po’ ovunque, anche se non tutti poi debitamente sviluppati: i riferimenti alla rete e alla dimensione del virale, i temi dell’identità che si affermano attraverso la presenza delle numerose maschere (simboli della falsificazzione dell’identità), acceni al tema della dualità ragione-istinto\uomo-bestia, quando i convenuti al rito finale indossano le maschere dalle fattezze zoomorfe, divenendo ibridi dalla testa animalesca e il corpo umano.
Dal punto di vista delle qualità di immagine mi pare decisamente più interessante la seconda parte del film, quella realizzata con due microcamere incastonate nei fermacravatta che Aaron e Jim indossano per il rito finale, che creano una sorta di mascherina nera ovalizzata intorno all’immagine che conferisce al tutto una discreta carica ansiogena, di visione soffocata e soffocante.
Non tutto sembra riuscire in questo film, che non stupisce mai, per quanto riesca spesso a risultare arguto. I motivi di interesse non vengono meno, comunque, e l’idea di base è piuttosto originale. La logica virulenta del complottismo che qui si vuole denunciare produce gli effetti sperati e ci forza a vedere collegamenti devianti tra gli eventi più disparati, come era nelle intenzioni dei registi.