Regia: Marc Webb
Anno: 2009
“Le cose che abbiamo in comune sono 4850, le conto da sempre, da quando m’hai detto ma dai, pure tu sei degli anni sessanta?“. (Le Cose In Comune, Daniele Silvestri)
Tom (Joseph Gordon-Levitt), inguaribile romantico, decide che Sole (Zooey Deschanel) è la donna della sua vita. Lei, pur facendosi coinvolgere in una relazione, non va oltre la parola amicizia e ad un certo punto lo lascia, cogliendolo di sorpresa (“Tu sei felice?” “Tu no???”) e gettandolo nello sconforto. La narrazione procede per salti, avanti e indietro nei cinquecento giorni coperti dalla storia – quelli che i due passano insieme, nonostante il titolo italiano, sono invece molti meno. Il punto di vista è uno soltanto: quello di Tom che non si rassegna alla perdita di Sole; la voce fuori campo sottolinea l’arbitrarietà della prospettiva scelta e la poca verosimiglianza delle vicende mostrate, che più che altro sono i ricordi di Tom; del punto di vista di lei, o della realtà, nessuna traccia concreta.
La colonna sonora di 500 Giorni Insieme ( titolo originale “(500) Days of Summer”, in cui Summer è il nome americano del personaggio di Sole) segue le regole del sedicente cinema indipendente americano contemporaneo: pezzi accattivanti, possibilmente poco noti, per dare ritmo e personalità al film.
Al contrario di altri film in cui la musica serve più che altro a dare sostanza laddove la sceneggiatura ne difetta, in 500 Giorni Insieme è un elemento fondamentale per capire il punto del film di Marc Webb. Se si dovesse ridurre tutto a due sole scene, infatti, una sarebbe quella in cui Tom scopre che Sole adora gli Smiths come lui, scambiando la comunità di gusti per affinità elettive e condannando se stesso ad una lunga e penosa illusione. Nel suo celebre pezzo Le cose in comune, anni fa, con l’acume e l’ironia di sempre, Daniele Silvestri si chiedeva proprio come mai non bastassero migliaia di cose in comune – tra cui i gusti musicali – a rendere perfetta un’unione…
L’altra scena chiave è quella in cui Tom scopre che il Beatle preferito da Sole è Ringo Starr e comincia a rendersi conto che un diverso approccio alle cose lo separa da Sole molto più di quanto l’amore per gli Smiths li accomuni.
Marc Webb approda alla regia cinematografica con un film che rivisita, senza particolari innovazioni, tutti i luoghi noti, ma senza i luoghi comuni, già visti nei classici del genere, da Io e Annie (“Annie Hall”, Woody Allen, 1977) ad Il Meraviglioso Mondo di Amelie (“Le fabuleaux destin de Amelie Poulain”, Jean-Pierre Jeunet, 2001 ) e Harry ti presento Sally (“When Harry met Sally”, Rob Reiner, 1989), riprendendone smaccatamente anche le tecniche narrative, dallo split screen alla narrazione non lineare, dalla rottura del quarto schermo alla voce fuori campo alle citazioni cinematografiche, al finale non scontato ma neanche tanto coraggioso. La tesi è quella – ampiamente sposata da chi scrive – che credere ciecamente in qualcosa, in particolare nell’anima gemella, alteri sensibilmente la percezione della realtà e l’interpretazione dei fatti, portando inevitabilmente a conseguenze disastrose.
Più che fornire qualche nuovo spunto di riflessione, come ci si poteva attendere, 500 giorni insieme si limita a descrivere – invece di analizzare – i rapporti di coppia dei trentenni di questo inizio di secolo, insicuri, confusi e con la maturità sentimentale paragonabile a quella di una bambina di dodici anni: Chloe Moretz, nei panni della sorella minore di Tom, non è solo l’ennesima bambina saccente, quanto piuttosto l’evidenza che la maturità sentimentale di Tom e dei suoi amici è un traguardo ancora molto lontano.
D’altra parte superficialità ed individualismo sono tra le caratteristiche fondanti degli anni che viviamo, ed anche le relazioni interpersonali sono spesso basate su presupposti deboli e vissute non tanto come reale condivisione, quanto come estensione del proprio ego. In quest’ottica, il tono del film di Webb è più che adatto a descrivere una storia d’amore contemporanea.
L’inversione del canone, ovvero che il romantico tra i due sia l’uomo, arriva tutto sommato in ritardo rispetto alla realtà per essere qualcosa di veramente nuovo. Nel complesso, però, grazie soprattutto all’interpretazione ed alle cravatte di Joseph Gordon-Levitt ed ad una Zooey Deschanel odiosamente adorabile (o viceversa), il film è decisamente convincente e maschera con eleganza le sue pecche, risultando certamente superiore e più autentico di qualunque rom-com di cassetta in cui attrici al botox note più per il gossip che per le qualità recitative tentano tristemente di spacciarsi per donne comuni in cerca del principe azzurro.